19.1.10

Degania. Cento anni dal primo kibbutz.

Nel 2010 ricorre un centenario importante nella storia del socialismo. All'inizio del 1910 venne fondato in Palestina Degania Alef, il primo kibbutz, che iniziò la sua attività dall'anno successivo. Il progetto era di collegare alla formazione in Palestina di un "focolare ebraico" la costruzione di un socialismo dal basso, le cui strutture di base, i kibbutz appunto, ne fossero il fondamento non solo economico e produttivo, ma anche sociale e civile. La storia del movimento dei kibbutz è, oggi, storia di una sconfitta. Degania si arrese al "mercato" nel 2007 e si contano ormai sulle dita di una mano i kibbutz che mantengono l'originaria ispirazione comunitaria. La nascita dello stato di Israele ottenuta con la violenta cacciata e sottomissione delle popolazioni arabe, il ruolo di gendarme e la caratterizzazione nazionale e confessionale del nuovo stato, il lungo, insanabile conflitto con gli Arabi di Palestina, sembrano alla fine aver distrutto il sogno socialista dei pionieri del kibbutz. La sua storia resta tuttavia da studiare anche per le realizzazioni, che sembrarono miracolose: prima fra tutte la fertilizzazione di quel deserto da cui nacquero magnifici pompelmi. Pubblico qui due "ritagli di stampa": un pezzo di Corrado Israel De Benedetti (dal "Diario" di "Reppubblica" del 3 aprile 2004) che del movimento dei kibbutzim e della vita dei kibbutz è stato partecipe e, talora, protagonista e che ha scritto sull'argomento alcuni volumi pubblicati da Giuntina; un articolo di Sabino Acquaviva (da "La Stampa" 17 marzo 2007). (S.L.L.)



1. Quella vita in comune alla base di un popolo
Corrado Israel De Benedetti

LE ORIGINI

Nel 1911 una dozzina di ragazzi e ragazze arrivati in Palestina dall'Europa Orientale si mettono assieme in una specie di cooperativa, chiedono e ottengono dall'Agenzia Ebraica, all'epoca Ufficio Palestinese, alcune terre vicino al Lago di Tiberiade, per cercare di guadagnarsi da vivere come contadini. Nasce così il primo kibbutz, Degania, in cui questo gruppo di giovani ha deciso di mettere in comune guadagni e spese, con il motto «da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni»). Essendo tutti poverissimi, i bisogni sono limitati al minimo. Degania tenne duro nei difficili anni della prima

guerra mondiale, e subito dopo la fine delle ostilità arrivarono in Palestina ondate di giovani ebrei provenienti dall'Europa Orientale. L'arrivo di questi giovani permetterà la costituzione di altre comunità sul tipo di Degania e nel 1927 una ventina di questi primi kibbutzim creano una organizzazione centrale, anzi secondo la loro colorazione politico-ideologico si formano due organizzazioni parallele, una molto di sinistra e l'altra chiaramente socialdemocratica. Negli anni '30 si forma una terza corrente di kibbutzim, a base religiosa. In ogni caso dal punto di vista organizzativo in questi anni i kibbutzim si comportano nello stesso modo, indifferentemente dalla colorazione politica e dall'appartenenza a questo o a quella organizzazione.


L'ORGANIZZAZIONE INTERNA

Il kibbutz fornisce a tutti i suoi membri il medesimo trattamento, indipendentemente dal lavoro svolto, tutte le entrate delle varie attività vanno alla società comune che è padrona dei mezzi di produzione e dispone a suo piacimento delle forze di produzione. Il solo organo esecutivo e legislativo è l'assemblea formata da tutti i membri del singolo kibbutz: democrazia diretta. In certi casi, in questi anni, è l'assemblea che decide se fare o non fare figli (a seconda delle condizioni economiche della comunità).


GLI ANNI DELLO SVILUPPO

Dopo la creazione dello stato d'Israele, i kibbutzim attraversano un periodo di espansione sociale ed economica, creano il miracolo della agricoltura israeliana, che una volta coperte le necessità del mercato interno, si lancia all'esportazione di prodotti e tecniche. È il movimento kibbutzistico che scopre i pompelmi e li impone all'Europa. Negli anni '70 i kibbutzim sono diventati 250 con una popolazione che supera le 100,000 unità, producono più del 50 % della produzione agricola del paese e negli anni '80 producono il 14 % della produzione industriale, mentre dal punto di vista demografico sono passati dal 4 % della popolazione negli anni '50 al 3 %. Gli anni ’80 portano al culmine la potenza economica dei kibbutzim, l'aumento delle entrate porta di conseguenza un salto nel tenore di vita: si costruiscono case più grandi, arriva il telefono, la televisione, il kibbutz mette disposizione dei suoi membri un parco macchine, sostiene le spese universitarie dei giovani e paga perfino viaggi all'estero a tutti i compagni.


LA CADUTA DEGLI IDEALI

Tuttavia dagli anni '70 in poi, anno dopo anno aumenta il numero dei giovani nati in kibbutz che dopo il servizio militare, non tornano più a casa. La vita di fuori, le possibilità che sembrano infinite di far carriera e soldi, attirano i giovani che preferiscono alla casa socialista in cui sono nati un mondo esterno capitalista. Il kibbutz cerca di adeguarsi: poco alla volta tutti i kibbutzim abbandonano l'"educazione comunitaria" (i bambini fino ai 18 anni mangiavano e dormivano nelle loro casette, e passavano in famiglia le ore pomeridiane e serali e i giorni di festa) e i figli vengono ad abitare in famiglia, come nel mondo normale. La sera si guarda la televisione e si diserta la assemblea.


CRISI E CAMBIAMENTO

La crisi economica che travolge Israele nei primi anni '80, quando la Inflazione supera il 400 %, lascia il movimento kibbutzistico con una montagna di debiti, per cui è necessaria una moratoria, che sarà concordata tra Banche Creditrici, Governo e kibbutzim nel giro di una decina d'anni. Nessun kibbutz è fallito, ma molti ne sono usciti con le ossa rotte e i giovani dirigenti si chiedono se la colpa non sia tutta nel metodo (socialista). In ogni caso, decine di kibbutzim in crisi hanno cercato un'ancora di salvezza tra le braccia di consiglieri ed esperti, che hanno indicato nella strada della privatizzazione la via della salvezza economica. Molte mense sono state chiuse, molti servizi comunitari sono stati eliminati e oggi la maggioranza in assoluto dei kibbutzim ha adottato un modello comunitario chiamato con nomi diversi, ma in effetti basato su un medesimo concetto. Ogni membro del kibbutz riceve un salario sulla base delle condizioni del mercato sia se lavora fuori dal kibbutz, sia se lavora nelle attività del kibbutz. Da questo salario vengono detratte le trattenute varie come in città, inoltre ogni singolo passa alla comunità una tassa (uguale per tutti), con cui vengono finanziati i minimi servizi (assistenza medica, istruzione primaria, aiuto a vecchi e invalidi) che la comunità continua a fornire. Inoltre a partire da uno stipendio medio fissato anno per anno, coloro che ricevono salari più alti sono tassati in percentuale per permettere così alla comunità di arrotondare la pensione ai pensionati, dato che in passato la maggioranza dei kibbutzim non aveva pensato di investire soldi in fondi pensioni. Questa forma nuova di status del kibbutz è definito "kibbutz rinnovato".


ANCORA EGUALITARI

Si calcola che attualmente ci siano una trentina di kibbutzim che rimangono fedeli al modello comunitario originale, un centinaio e più che hanno già scelto la strada del kibbutz "rinnovato", mentre gli altri si dibattono ancora nelle incertezze.




2. Il kibbutz sconfitto dal mercato

Sabino Acquaviva

Degania, la prima comune agricola nata in Palestina nel 1910, diventa una banale cooperativa. Ma il simbolo dei pionieri di Israele è ancora un modello da studiare.


Quasi una tragedia per i fondatori di Israele: il primo kibbutz, con una decisione a maggioranza dei suoi soci, diventa una banale cooperativa con stipendi differenti e la proprietà privata delle case e di altri beni. Significa la fine dei grandi ideali che spinsero a creare i kibbutzim? La prima comune dell’età moderna, allora soltanto agricola, era stata fondata in Israele nel 1910, si era chiamata Degania e aveva dodici abitanti, dieci uomini e due donne. Era il risultato della fusione politica e culturale del Sionismo, dell’anarchismo, di un socialismo più o meno marxista. I fondatori affermarono: «Noi compagni (...) abbiamo fondato un insediamento indipendente di lavoratori ebrei. Una cooperativa senza sfruttatori e senza sfruttati».


Il consumismo più forte degli ideali

Nel tumulto politico dell’ultimo secolo queste comuni si diffusero in Israele, ma non furono considerate un fatto molto positivo in Europa, dove il socialismo sovietico preferì corteggiare politicamente le centinaia di milioni di musulmani che i pochi ebrei di Palestina. Inoltre, lo Stato ebraico nacque nel 1948, in piena guerra fredda, quando i kibbutzim erano già numerosi da quasi quarant’anni. Attualmente in Israele ci sono almeno 268 comuni agricole, con circa 117 mila abitanti nati in Israele e provenienti da ogni parte del mondo, come Allan Saphiro, americano e professore all’università di Haifa, che vive appunto a Degania.

Oggi che accade? Molti sostengono che il mercato sostituisce gli ideali, ma è vero entro certi limiti anche se Degania si è inchinata alle sue leggi. Questo significa il fallimento dell’unico vero tentativo al mondo di progettare una società socialista? Qualcuno, demoralizzato, dopo le recenti decisioni ha detto: «La tradizione non esiste più, la mensa comune è vuota, le feste non sono più quelle di una volta». Perché tutto questo? Il consumismo ha spianato valori e ideali della nostra civiltà. Quasi ovunque ha vinto. Persino la Cina, la patria della Rivoluzione Culturale e del maoismo, ha capitolato di fronte alle leggi ferree del consumismo, ritenendo che lo sviluppo economico sia impossibile senza rinunciare ad alcuni ideali di eguaglianza.


Tra fratellanza e competizione

I kibbutzim sono soltanto espressione della cultura e della filosofia socialista del secolo passato? Non lo penso, rappresentano un tentativo di arginare il consumismo, di dialogare con il mercato, il grande schiacciasassi di culture, filosofie e religioni della nostra società. In Israele, minacciato di distruzione dall’ennesimo fondamentalismo, è in corso la battaglia per la sopravvivenza di un’istituzione economica, sociale, lasciataci in eredità da una cultura che, per il resto, all’alba di questa nuova civiltà, sembra quasi in agonia. Nelle comuni israeliane si contrappongono caratteristiche diverse della natura umana. Da un lato gli esseri umani cercano fratellanza, cooperazione, fraterna convivenza, dall’altro competizione e sfruttamento. Le due anime sono presenti anche nei kibbutz che però continuano a rappresentare il solo esempio concreto di eguaglianza e fratellanza. Dovremmo studiare e capire i kibbutzim e insieme domandarci se possono essere un modello per riorganizzare la società nel suo complesso, in una parola per progettare il nostro futuro.

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