8.6.11

Latona un giorno ebbe sete... (Elvia Franco)


Metropolitan Museum of New York City - Latona
con i figli Apollo e Diana - David William Rinehart
Nella rubrica  L'editoriale dei lettori, su "La Stampa" del 3 giugno 2011, si trova un breve articolo dal titolo L'acqua è nostra di Elvia Franco, da Udine, che si presenta come una sessantunenne maestra in pensione. L'affermazione contenuta nel titolo, in questi giorni di campagna referendaria, suona come sloganistica e ripetitiva, ma non lo è affatto l'argomentazione, corredata di riferimenti classici, filosofici e letterari, da Epicuro a Ovidio. Da leggere, meditare, far conoscere. (S.L.L.)


L'acqua è nostra
L’acqua è un bene pubblico. E il popolo ne è il gestore. Il popolo, dunque, attraverso le istituzioni politiche e l’esercizio della vigilanza democratica. Come si possono affidare le risorse, su cui la nostra esistenza si regge, in mano a qualcuno che ne potrebbe decidere a prescindere?
Si tratta di quei beni naturali e necessari di cui parlava Epicuro, distinguendoli dai beni naturali e non necessari, e da quelli non naturali e non necessari, indicando così, mi pare, anche un ordine in cui le cose possono passare da un governo pubblico a uno privato, secondo non una convenienza, ma una necessità razionale. L’acqua degli acquedotti e l’acqua dei rubinetti ci appartiene. L’acqua di casa è una risorsa pubblica i cui costi si pagano ai comuni secondo tariffe giustificate e concordate e dei cui sprechi si deve rispondere, non solo con costi aggiuntivi, ma anche con valutazioni pubbliche severe. I comuni. Il nome parla da sé. Cum-munis ci dice infatti di un’autorità (munis) di cui siamo insieme (cum) soggetto e oggetto, protagonisti nel dare e osservare le regole.
Il mito ci racconta che la dea Latona un giorno ebbe sete. Si avvicinò a un laghetto e si chinò per bere. Alcuni contadini, che si sentivano i proprietari di quelle acque, glielo vietarono. Lei indignata rispose: Quid prohibetis aquis? Usus communis aquarum est. Nec solem proprium natura nec aera fecit nec tenuas undas: ad publica munera veni («Tutti hanno diritto all’uso dell’acqua. La natura non ha fatto di proprietà privata né il sole, né l’aria e neppure la fluida acqua. È a un bene pubblico che mi sono accostata!» (Ovidio, Metamorfosi, Libro VI, vv. 349-351). Il mito non dice di fantasticherie più o meno allettanti, ma custodisce nella forma di immagini poetiche convincimenti, valori, atteggiamenti psichici formatisi nel corso di millenni. Il mito li accoglie, li protegge, li tramanda.
P.S. Latona trasformò in rane quei contadini...

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bisogna distinguere tra gestione privata e proprieta e controllo pubblico.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

La signora Franco questa distinzione la fa, tant'è vero che per il popolo pretende non tanto la (nuda) proprietà, ma - appunto - la gestione. Ovviamente, si può non essere d'accordo; ma non si può rimproverare all'articolista di far confusione.

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