17.6.12

Sokol: la ginnastica slovena. Storie segrete della Grande Guerra (di Demetrio Volcic)

Ljudevit Pivko (1880 - 1937)
Si chiamava semplicemente Contro l'Austria (Proti Avstrji) ed era stato scritto negli anni Venti il libro che trovai anni fa in una vecchia libreria dell'usato a Lubiana. Lo firmava il capitano austroungarico Ljudevit Pivko, di etnia slovena, laureato a Vienna. Dopo la Grande Guerra divenne docente di filosofia nelle scuole superiori a Maribor. Nel frattempo, però, aveva «rischiato» di diventare l'uomo della Provvidenza per le sorti italiane del conflitto, cavalcando le insegne della Sokol, una società ginnica di copertura, associazione aperta a tutti, talvolta anche alle donne, in cui si aggregavano gli ufficiali dell'esercito austroungarico etnicamente slavi (sloveni, croati, polacchi, cechi...), per coltivare lo spirito del panslavismo. Un po' come succedeva in Italia con «La Ginnastica» e in Germania con il «Turnferein». In Slovenia gli iscritti alla Sokol erano diecimila, in Cecoslovacchia, nel 1914, erano già centomila. Il nazionalismo slavo era una forza dinamica che si propagava velocemente. Della Sokol era nota l'esistenza capillarmente ramificata, meno la capacità di mobilitare in poche settimane gli adepti dell'intero impero. Ce l'ha svelata l'ufficiale Pivko nel backstage autobiografico del suo libro (per la prima volta edito in Italia da Leg - Libreria Editrice Goriziana) che affonda agli inizi della guerra, allorché l'allora sottotenente sloveno arrivò a Tolmino, dove il gruppo di congiurati era già costituito. Gli ufficiali slavi stavano discutendo la posizione nazionale e dopo dubbi, discussioni e fratture interne, decisero a maggioranza di darsi un obiettivo: la scomparsa dell'impero austriaco. In Trentino, nel 1917, Pivko e gli altri cominciarono a sondare il terreno, e a rischio della loro vita raggiunsero la trincea italiana per incontrare il capitano Finzi (nome di copertura del maggiore Pettorelli Lalatta), ufficiale dei servizi segreti. Ai commilitoni austriaci spiegavano di voler raccogliere la frutta abbandonata nella terra di nessuno. Le mele evitavano il pericolo del fuoco amico. Al mattino il gruppetto di ufficiali rientrava nelle proprie linee con cesti di mele per tutti. Pivko incontrò parecchie volte Finzi e insieme con lui progettò e firmò un accordo di diserzione. Il legame delle terre comuni aveva facilitato il rapporto tra gli ufficiali e le truppe: conquistati dalle teorie del nazionalismo, i giovani ufficiali di riserva si erano votati alla causa. Il piano di Pivko puntava a consegnare all'Italia il battaglione bosniaco della Landsturm, di stanza a Carzano, dopo aver drogato tutti i soldati di quel gruppo: consentendo così al nemico di penetrare all'interno delle linee austroungariche, facendo breccia attraverso la Valsugana e la via per Trento. Un'intera armata dell'Impero sarebbe così rimasta isolata dal territorio nazionale e a Carzano si sarebbe potuta decidere la Grande Guerra. Ma l'incredibile occasione andò perduta a causa di ritardi, diffidenze e tentennamenti dell'esercito italiano. Il tentativo venne sospeso. Fu così che, nell'autunno del 1917, l'Italia raccolse un numero consistente di soldati transfughi di etnia slovena, tra cui lo stesso Pivko, ai quali non fu permesso di costituire una vera e propria legione straniera sul modello di quella francese. I disertori sloveni portavano uniformi italiane con un contrassegno particolare e furono assegnati a compiti che andavano dalla ricognizione del territorio alla propaganda presso le popolazioni transfrontaliere. Da un punto di vista formale si trattava di prigionieri di guerra con uno status particolare: liberi di muoversi, usare le ferrovie e ricevere un contributo finanziario. Questa è solo una delle moltissime storie di cui non si sa nulla, intorno alla Grande Guerra. Chiunque volesse raccoglierle in un saggio improntato alla raffinata divulgazione, con testimonianze, dialoghi e retroscena, intessuto di sociologia e geopolitica - come usa nel mercato anglo-americano - potrebbe appassionare a queste vicende parecchi lettori italiani.

“La Stampa”, 31-01-2011

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