Nel 1977, in un paginone
dedicato a London, “la Repubblica” pubblicò tra l'altro il
sintetico profilo che segue e che “posto” perché mi pare di
qualche utilità. (S.L.L.)
Jack London nasce nel
1876 dalla relazione tra Flora Wellmann, maestra di musica e
appassionata di spiritismo e W. H. Chaney, strana figura di
astrologo-filosofo che abbandona l’amante poco prima della nascita
di John (che solo in seguito assumerà lo pseudonimo con cui è
famoso: Jack London). La vita del romanziere assomiglia ad un
romanzo, precisamente ad un denso e tumultuoso romanzo d’avventure.
A quattordici anni lavorava fino a sedici ore al giorno in ima
fabbrica di conserve, ma quattro anni dopo è già in viaggio verso i
mari orientali, a caccia di foche, esperienza di cui resterà traccia
abbondante in Martin Eden (1909). Avventuriero, cercatore
d’oro, vagabondo... autore di grande successo: chi era veramente
Jack London?
La critica fino a qualche
tempo fa liquidava l’abbondante produzione londoniana collocandola
sotto
il segno dell’evasione,
del romanzo senza aspirazioni propriamente «letterarie», quando non
addirittura del romanzo per adolescenti (Il richiamo della
foresta, 1903, o Zanna bianca, 1906). Iscrittosi nel 1896
al Partito Socialista, London incarna da un lato il desiderio di
riscatto dell’oppresso, il nuovo senso di giustizia che si va
diffondendo (su questi temi il lettore può consultare il recente
volume antologico di London La lotta di classe e altri saggi sui
socialismo Lerici, pagg. 205 lire 4300) e dall’altro inseguendo
il mito tutto borghese del successo e della ricchezza. Questa
contraddizione, presente anche nei suoi scritti e nei suoi personaggi
(l’Ernest Everahard de Il Tallone di ferro, 1907, incarna il
mito del rivoluzionario, mentre Martin Eden sarà l'intellettuale
pieno di dubbi e angosce) non sarà mai sanata. Al pari di molti
altri intellettuali americani della sua generazione, London vivrà un
declino senza soste fino alla completa disfatta. Il 22 novembre 1916
muore suicida.
La vita copia il romanzo,
dunque, ma, a parte il facile effetto scenografico del
London-personag-gio, l’attività dello scrittore resta un capitolo
aperto, un «mito» da spiegare.
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