Benito Mussolini nel 1897, a 14 anni |
Uno scolaro non ancora
diciassettenne, svolgendo il 14 aprile 1900 un compito di pedagogia
sul testo di storia per la scuola elementare, si domandava: «Quale è
la storia che abbisogna alle moltitudini? Come darle fondamento nella
cultura scolastica? Come poterla far comprendere ai ragazzi?». Lo
scolaro deplorava che l’insegnamento della storia, nel momento in
cui la didattica «aveva fatto passi giganteschi verso la modernità»,
fosse fatto ancora attraverso il «dettato storico», con un
«sovraccarico dannoso alla memorazione logica». Invece, sosteneva
lo scolaro, il testo di storia non deve «contenere molte date e
molti nomi, cose che si dimenticano presto», ma «schizzi
storico-geografici che rendan chiaro al fanciullo come si svolsero i
fatti». E gli educatori che «veramente sentono l’importanza della
loro missione, devono servirsi della storia anche come talismano
didattico» per «suscitare e nobilitare il sentimento»; il maestro
deve far apparire occasionali le lezioni di storia, e nell’esporle
«il suo timbro di voce deve essere bello e conquidente, la sua
movenza aggraziata, il suo gesto appropriato. Deve saper rinnovare la
scena storica davanti agli occhi della scolaresca, e se qualche brano
gli sfugge che non sia capito dagli allievi il danno è minimo,
purché riesca a commuovere, ad ammirare (sic!), ad affascinare. Una
commemorazione, un anniversario possono fornire argomento al maestro
per una lezione di storia, tanto più proficua perché d’attualità
ed i fanciulli lo ascolteranno con amore se ne avranno sentito
parlare». «Solo operando come io ho espresso in questo scritto -
concludeva lo scolaro con ammonitrice sicumera - la storia avrà
efficacia nelle scuole del popolo».
Lo scolaro era Benito
Mussolini. Il suo compito di pedagogia è stato recentemente
riesumato da Paola S. Salvatori, studiosa del culto fascista della
romanità, per introdurre un saggio su Mussolini e la storia, che
getta luce su un aspetto importante dell’ideologia mussoliniana,
anche se l’indagine è limitata agli anni dalla militanza
socialista alla conquista del potere, e all’analisi di tre temi,
illustrati in successione: la Roma antica, la Francia rivoluzionaria,
il Risorgimento, dalla Grande Guerra alla marcia su Roma.
Da socialista, da
interventista e infine da fascista, negli scritti e nei discorsi
Mussolini si richiamò spesso alla storia per sostenere le sue
posizioni e le sue scelte, quasi applicando da politico i precetti
che aveva consigliato da scolaro. «La storia mi serve» per «creare
la coscienza antiguerresca che oggi manca»: «La storia mi dice che
le guerre sono il disastro delle nazioni», così scriveva nel 1912,
opponendosi alla guerra di Libia, il giovane socialista quell’anno
assurto improvvisamente, a capo prestigioso nel partito socialista.
Mussolini ebbe per la
storia una curiosità costante e tutt’altro che superficiale. Come
documenta Salvatori, «l’uso della storia in Mussolini non
rappresentò mai un casuale e formale esercizio oratorio, ma fu
sempre strettamente legato a intenzioni e momenti della sua
riflessione politica, sociale, economica». I riferimenti storici
mussoliniani furono però sempre intrecciati con la sua politica, e
in tale intreccio vanno studiati, nel concreto, diremmo quotidiano,
svolgimento dell’azione mussoliniana. Perciò, opportunamente, la
studiosa critica la propensione di taluni studiosi, soprattutto
anglosassoni, a interpretare l’ideologia mussoliniana attraverso
«un’estrema concettualizzazione e teorizzazione filosofica», che
finisce con l’oscillare in una «una polarizzazione interpretativa
comunque confusa».
Vi è tuttavia da
osservare che anche la studiosa italiana incorre in una
concettualizzazione tutt’altro che convincente, quando attribuisce
a Mussolini una «visione teleologica» della storia, che sarebbe
rimasta invariata dai giovanili anni socialisti fin dentro gli anni
del regime fascista. Con accostamenti alquanto sbrigativi fra i
riferimenti storici del Mussolini socialista, e interventista con
quelli del fascista negli anni Venti, Trenta e Quaranta, la studiosa
ritiene che vi sia stata «una linea di continuità tra il giovane e
socialista Mussolini e quello che sarebbe stato il duce del
fascismo», rintracciando atteggiamenti fascisti addirittura nel
compito scolastico del 1900.
Siffatti accostamenti, piuttosto che dimostrare tale continuità, lasciano emergere un’interpretazione teleologica retrospettiva della visione mussoliniana della storia, che in realtà, nei momenti cruciali della sua politica, fu condizionata da circostanze nazionali e internazionali del tutto impreviste, tali da costringerlo a scelte altrettanto impreviste, come accadde con la conversione mussoliniana all’interventismo, e di nuovo alla fine della Grande Guerra e negli anni del primo fascismo, quando Mussolini agiva senza una prospettiva e una meta ancora definite. In tal senso, non si può neppure sostenere l’identificazione dell’ideologia del Mussolini interventista con il nazionalismo di Enrico Corradini, che invece fu bersaglio di strali polemici mussoliniani fino al 1918, e oltre.
Siffatti accostamenti, piuttosto che dimostrare tale continuità, lasciano emergere un’interpretazione teleologica retrospettiva della visione mussoliniana della storia, che in realtà, nei momenti cruciali della sua politica, fu condizionata da circostanze nazionali e internazionali del tutto impreviste, tali da costringerlo a scelte altrettanto impreviste, come accadde con la conversione mussoliniana all’interventismo, e di nuovo alla fine della Grande Guerra e negli anni del primo fascismo, quando Mussolini agiva senza una prospettiva e una meta ancora definite. In tal senso, non si può neppure sostenere l’identificazione dell’ideologia del Mussolini interventista con il nazionalismo di Enrico Corradini, che invece fu bersaglio di strali polemici mussoliniani fino al 1918, e oltre.
Al di là di queste
osservazioni, il saggio della Salvatori ha avviato un’indagine che
merita di essere proseguita, allargandola a temi storici altrettanto
importanti nella vicenda politica mussoliniana, come la storia del
socialismo e del marxismo, la storia italiana ed europea nell’età
dell’imperialismo, e soprattutto la «storia dei dieci anni», per
dirla col titolo di un libro di Arturo Labriola apprezzato da
Mussolini, cioè la storia d’Italia durante l’egemonia politica
di Giovanni Giolitti, che fu per il Mussolini socialista e per
l’interventista (un po’ meno per il fascista) il principale
nemico.
Ma anche per queste auspicabili ulteriori indagini, converrà aver presente che una visione teleologica non si concilia con la convinzione mussoliniana della imprevedibilità della storia: «La storia – scriveva nel gennaio 1913 – è piena dell’imprevisto e nessuno …. può tracciare o ipotecare la strada dell’avvenire». E un mese dopo ribadiva: «La storia è piena dell’imprevisto e presenta d’improvviso delle situazioni rivoluzionarie». E di nuovo, alla fine del 1913: «Poiché la storia – checché si possa dire in contrario - non si ripete ma presenta sempre nuove situazioni di fatto e nuovi problemi, è necessario non abbandonarsi ai facili entusiasmi cui seguono immancabilmente le dolorose sorprese».
«Il Sole 24 Ore domenica», 11 dicembre 2016
Ma anche per queste auspicabili ulteriori indagini, converrà aver presente che una visione teleologica non si concilia con la convinzione mussoliniana della imprevedibilità della storia: «La storia – scriveva nel gennaio 1913 – è piena dell’imprevisto e nessuno …. può tracciare o ipotecare la strada dell’avvenire». E un mese dopo ribadiva: «La storia è piena dell’imprevisto e presenta d’improvviso delle situazioni rivoluzionarie». E di nuovo, alla fine del 1913: «Poiché la storia – checché si possa dire in contrario - non si ripete ma presenta sempre nuove situazioni di fatto e nuovi problemi, è necessario non abbandonarsi ai facili entusiasmi cui seguono immancabilmente le dolorose sorprese».
«Il Sole 24 Ore domenica», 11 dicembre 2016
Nessun commento:
Posta un commento