Salvatore Carnevale, Raniero Panzieri, la lotta alla mafia e gli sciacalli.Il giornale "di sinistra" della famiglia Angelucci "Il riformista" dà il risalto della prima pagina alla parte iniziale di un'ampia "stroncatura" di Baarìa, il film di Tornatore in mostra a Venezia. La firma è di Giuliano Cazzola, giuslavorista e studioso del welfare, fino ai primi anni Novanta figura di primo piano tra i socialisti della Cgil, coautore con Renato Brunetta di libri e proposte "scandalose", oggi deputato del Popolo di Berlusconi.
Il Cazzola se la prende con gli applausi "bipartisan" e la commozione di Veltroni (Walter) e Berlusconi (Piersilvio). La tesi è che, dato che il film mette insieme le idee della sinistra e i soldi dei Berlusconi, nessuno potrà dirne male.
Cazzola ci prova lui, notando nel film, definito una epopea autoelogiativa e autoassolutoria della sinistra (ha come eroe un sindacalista comunista della Cgil in lotta contro la mafia), quella che gli pare una clamorosa omissione: "... nell'immediato dopoguerra ben 29 su 32 sindacalisti uccisi dalla mafia erano socialisti". A pagina 16 Cazzola chiude l'articolo con una bella prosa che, per rimediare alle carenze del film, rievoca l'omicidio di Salvatore Carnevale, un sindacalista socialista di soli 31 anni, perpetrato a Sciara, in provincia di Palermo, nel 1955: "Quella stessa notte i mafiosi, per spregio, rubarono le galline di tutto il paese e banchettarono in allegria. Le penne furono sparse per le vie di Sciara; il vento le sollevò per ore agitandole in mille mulinelli, per tutta la notte, fin quando ricaddero al suolo. Un giornalista de "l'Espresso" - che ho conosciuto anni dopo, ma di cui non ricordo il nome - descrise quella vicenda in un articolo che finiva prendendo in prestito gli ultimi versi del XXIV libro dell'Iliade (dove Omero narra le onoranze funebri in morte di Ettore "domatore di cavalli"): questi furono gli estremi onori resi a Salvatore Carnevale".
Memoria per memoria ricordiamo anche noi una pagina di grande effetto, il Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali, di Ignazio Buttitta, il grande poeta siciliano e comunista, che in una delle sue ottave epico-narrative mette in bocca a Carnevale parole come queste: "lu sucialismu cu l'ali di mantu ca porta pani paci e puisia".
Torniamo a Cazzola. Sul film, non avendolo visto, non possiamo nè consentire nè dissentire, ma, giacchè lo troviamo così pronto a rilevare i peccati d'omissione, ne rileveremo uno suo, grande quanto una casa. L'articolo infatti vuol lasciare intendere che i sindacalisti socialisti uccisi dalla mafia in Sicilia fossero gente come lui o come il suo amico Brunetta. Non è così. Tra i socialisti siciliani quelli governativi e filoamericani alla Vizzini o alla Lupis erano saragattiani e stavano col Psdi. Al Psi siciliano nel dopoguerra l'impronta maggiore la diede un dirigente eretico e libertario che ne fu segretario regionale dal 1950 al 1955, Raniero Panzieri, destinato a diventare con i "Quaderni rossi" uno degli ispiratori del Sessantotto. Alla sua morte nel 1964, Pietro Nenni scrisse nei suoi diari che tra i socialisti arrivati nel secondo dopoguerra era senza dubbio "il più onesto e il più intelligente" oltre che il più "legato alle lotte dei lavoratori", ma anche "il più squinternato". In effetti nel 1955 preferì sostituirlo con un avvocato dell'Agrigentino, Salvatore Lauricella, detto "ciuffo d'oro", che rinverdiva la tradizione meridionale del notabilato di sinistra e che orientò il suo partito verso un giacobinismo democratico non alieno da pratiche clientelari. Panzieri aveva però fatto a tempo a prendersi per la sua levatura politico-intellettuale l'appellativo "il nostro Gramsci", affibiatogli con orgoglio dai contadini socialisti del messinese, che con un dirigente di quel livello non mostravano alcun compless0 di inferiorità rispetto ai loro compagni comunisti.
Panzieri era "frontista", ma a modo suo: non amava l'unità burocratica tra Psi e Pci controllata e gestita da ristretti vertici di partito, preferiva un unità alla base più ampia, che andasse oltre gli stessi partiti, nel movimento di massa contro il feudo e le mafie. Fu a suo modo anche "autonomista", rivendicando un ruolo diverso e specifico dei socialisti e contrastando ogni progetto "fusionista". Riteneva che compito del Psi fosse soprattutto quello di affermare l'autonomia del movimento dei lavoratori dagli stessi partiti operai, sulla base di un'ampia democrazia interna. Tutto il contrario della stalinistica "cinghia di trasmissione" praticata dai togliattiani, che volevano ricondurre tutto sotto l'autorità del partito e dei suoi vertici.
Si capisce perchè in Sicilia i comunisti lo marcassero strettissimo e s'intende anche come i sindacalisti socialisti fossero spesso nei paesi siciliani alla testa delle lotte. I comunisti, infatti, specie dopo la sconfitta personale e politica del "movimentista" Pancrazio de Pasquale, pur proseguendo la battaglia contro mafie e latifondisti, erano in genere più prudenti e controllati; nel difficile clima dello scelbismo lavoravano a consolidare l'organizzazione. Anche per questo gli uccisi erano più spesso socialisti che comunisti.
Cazzola sembrerebbe rivendicare a sè e ai suoi amici i lasciti di questa tradizione: è una via di mezzo tra la baggianata e l'impudenza. In verità mentre l'eredità morale di questo filone di socialisti, uomini di straordinario rigore e intransigenza, è stata raccolta oggi dal movimento antimafia (in primo luogo da Libera, che ne ripropone la memoria insieme con quella di altrettanto rigorosi magistrati, carabinieri, poliziotti), l'eredità politica è quasi del tutto dissipata. Da allora, infatti, solo alcune isolate personalità e con loro piccoli gruppi di militanti, hanno riproposto la battaglia contro la mafia come lotta di classe per il socialismo. I nomi più importanti sono stati quelli di un comunista eretico come Mario Mineo o di Peppino Impastato che, isolato anche nel movimento studentesco, rivendicava questo aspetto poco noto dell'eredità di Panzieri, convinto che nel movimento contadino vi fossero ancora ai suoi giorni risorse di creatività e radicalità da impegnare nella lotta. Oggi è ricordato soprattutto come campione della "legalità".
Meno che mai l'eredità di Carnevale, di Panzieri, del socialismo contadino siciliano fu raccolta da lauricelliani e craxiani, che piegarono il Psi in direzione del clientelismo se non dell'affarismo.
Oggi il governo del Cavaliere, di Maroni e di Bossi, che i "socialisti" del Popolo della Libertà appoggiano, non nega solo la terra agli attuali braccianti di Sicilia, in gran parte d'origine tunisina o marocchina , ma nega anche cittadinanza, diritti e dignità. E li lascia "clandestini" a farsi sfruttare da uno schifoso capolarato legato alle mafie. Che cosa c'entrano Cazzola e Brunetta con Salvatore Carnevale? (S.L.L.)
Il Cazzola se la prende con gli applausi "bipartisan" e la commozione di Veltroni (Walter) e Berlusconi (Piersilvio). La tesi è che, dato che il film mette insieme le idee della sinistra e i soldi dei Berlusconi, nessuno potrà dirne male.
Cazzola ci prova lui, notando nel film, definito una epopea autoelogiativa e autoassolutoria della sinistra (ha come eroe un sindacalista comunista della Cgil in lotta contro la mafia), quella che gli pare una clamorosa omissione: "... nell'immediato dopoguerra ben 29 su 32 sindacalisti uccisi dalla mafia erano socialisti". A pagina 16 Cazzola chiude l'articolo con una bella prosa che, per rimediare alle carenze del film, rievoca l'omicidio di Salvatore Carnevale, un sindacalista socialista di soli 31 anni, perpetrato a Sciara, in provincia di Palermo, nel 1955: "Quella stessa notte i mafiosi, per spregio, rubarono le galline di tutto il paese e banchettarono in allegria. Le penne furono sparse per le vie di Sciara; il vento le sollevò per ore agitandole in mille mulinelli, per tutta la notte, fin quando ricaddero al suolo. Un giornalista de "l'Espresso" - che ho conosciuto anni dopo, ma di cui non ricordo il nome - descrise quella vicenda in un articolo che finiva prendendo in prestito gli ultimi versi del XXIV libro dell'Iliade (dove Omero narra le onoranze funebri in morte di Ettore "domatore di cavalli"): questi furono gli estremi onori resi a Salvatore Carnevale".
Memoria per memoria ricordiamo anche noi una pagina di grande effetto, il Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali, di Ignazio Buttitta, il grande poeta siciliano e comunista, che in una delle sue ottave epico-narrative mette in bocca a Carnevale parole come queste: "lu sucialismu cu l'ali di mantu ca porta pani paci e puisia".
Torniamo a Cazzola. Sul film, non avendolo visto, non possiamo nè consentire nè dissentire, ma, giacchè lo troviamo così pronto a rilevare i peccati d'omissione, ne rileveremo uno suo, grande quanto una casa. L'articolo infatti vuol lasciare intendere che i sindacalisti socialisti uccisi dalla mafia in Sicilia fossero gente come lui o come il suo amico Brunetta. Non è così. Tra i socialisti siciliani quelli governativi e filoamericani alla Vizzini o alla Lupis erano saragattiani e stavano col Psdi. Al Psi siciliano nel dopoguerra l'impronta maggiore la diede un dirigente eretico e libertario che ne fu segretario regionale dal 1950 al 1955, Raniero Panzieri, destinato a diventare con i "Quaderni rossi" uno degli ispiratori del Sessantotto. Alla sua morte nel 1964, Pietro Nenni scrisse nei suoi diari che tra i socialisti arrivati nel secondo dopoguerra era senza dubbio "il più onesto e il più intelligente" oltre che il più "legato alle lotte dei lavoratori", ma anche "il più squinternato". In effetti nel 1955 preferì sostituirlo con un avvocato dell'Agrigentino, Salvatore Lauricella, detto "ciuffo d'oro", che rinverdiva la tradizione meridionale del notabilato di sinistra e che orientò il suo partito verso un giacobinismo democratico non alieno da pratiche clientelari. Panzieri aveva però fatto a tempo a prendersi per la sua levatura politico-intellettuale l'appellativo "il nostro Gramsci", affibiatogli con orgoglio dai contadini socialisti del messinese, che con un dirigente di quel livello non mostravano alcun compless0 di inferiorità rispetto ai loro compagni comunisti.
Panzieri era "frontista", ma a modo suo: non amava l'unità burocratica tra Psi e Pci controllata e gestita da ristretti vertici di partito, preferiva un unità alla base più ampia, che andasse oltre gli stessi partiti, nel movimento di massa contro il feudo e le mafie. Fu a suo modo anche "autonomista", rivendicando un ruolo diverso e specifico dei socialisti e contrastando ogni progetto "fusionista". Riteneva che compito del Psi fosse soprattutto quello di affermare l'autonomia del movimento dei lavoratori dagli stessi partiti operai, sulla base di un'ampia democrazia interna. Tutto il contrario della stalinistica "cinghia di trasmissione" praticata dai togliattiani, che volevano ricondurre tutto sotto l'autorità del partito e dei suoi vertici.
Si capisce perchè in Sicilia i comunisti lo marcassero strettissimo e s'intende anche come i sindacalisti socialisti fossero spesso nei paesi siciliani alla testa delle lotte. I comunisti, infatti, specie dopo la sconfitta personale e politica del "movimentista" Pancrazio de Pasquale, pur proseguendo la battaglia contro mafie e latifondisti, erano in genere più prudenti e controllati; nel difficile clima dello scelbismo lavoravano a consolidare l'organizzazione. Anche per questo gli uccisi erano più spesso socialisti che comunisti.
Cazzola sembrerebbe rivendicare a sè e ai suoi amici i lasciti di questa tradizione: è una via di mezzo tra la baggianata e l'impudenza. In verità mentre l'eredità morale di questo filone di socialisti, uomini di straordinario rigore e intransigenza, è stata raccolta oggi dal movimento antimafia (in primo luogo da Libera, che ne ripropone la memoria insieme con quella di altrettanto rigorosi magistrati, carabinieri, poliziotti), l'eredità politica è quasi del tutto dissipata. Da allora, infatti, solo alcune isolate personalità e con loro piccoli gruppi di militanti, hanno riproposto la battaglia contro la mafia come lotta di classe per il socialismo. I nomi più importanti sono stati quelli di un comunista eretico come Mario Mineo o di Peppino Impastato che, isolato anche nel movimento studentesco, rivendicava questo aspetto poco noto dell'eredità di Panzieri, convinto che nel movimento contadino vi fossero ancora ai suoi giorni risorse di creatività e radicalità da impegnare nella lotta. Oggi è ricordato soprattutto come campione della "legalità".
Meno che mai l'eredità di Carnevale, di Panzieri, del socialismo contadino siciliano fu raccolta da lauricelliani e craxiani, che piegarono il Psi in direzione del clientelismo se non dell'affarismo.
Oggi il governo del Cavaliere, di Maroni e di Bossi, che i "socialisti" del Popolo della Libertà appoggiano, non nega solo la terra agli attuali braccianti di Sicilia, in gran parte d'origine tunisina o marocchina , ma nega anche cittadinanza, diritti e dignità. E li lascia "clandestini" a farsi sfruttare da uno schifoso capolarato legato alle mafie. Che cosa c'entrano Cazzola e Brunetta con Salvatore Carnevale? (S.L.L.)
Non solo non c'entrano ma bisognerebbe negargli il diritto di parlarne. Come fanno loro, complici e mandanti degli omicidi di massa silenziosi perpetrati ai danni di povera gente che scappa da guerra, fame e persecuzioni e la quale nemmeno si lascia entrare in Italia e se per caso riesce ad arrivare ad una nostra frontiera non la si lascia nemmeno parlare per chiedere asilo. Li mandano dDirettamente dagli aguzzini libici o altri a morire per anni in carceri di ferro finanziate con i nostri soldi.
RispondiEliminaLuride carogne quando la finirete!!!