Si svolgerà da domani 10 a sabato 12 settembre e sara' idealmente dedicata a don Gianni Baget-Bozzo l'ottava edizione della Scuola di formazione di Gubbio, organizzata dal Pdl. Il programma è fitto. Domani ci sarà la realazione di Bondi e l’intervento di alcuni “big”, da Gasparri a Cicchitto, da Frattini a La Russa, ma il clou sarà rappresentato dall’inattesa visita di Fini, oggi sotto accusa come il “compagno” Fini o il “radicale" Fini. Lui stesso ha definito la scelta di andare una misura di “igiene politica”, ma nella cultura di destra l’igiene ha molto a che fare con la guerra (“la guerra sola igiene del mondo”). Sabato 12, di buon mattino, avra' luogo il confronto fra il Rettore della Pontificia Universita' Lateranense monsignor Fisichella, e Giulio Tremonti. Si discutera' dell'Enciclica 'Caritas in Veritate' ed al dibattito parteciperanno anche Bondi e Quagliariello. Sabato sera, dopo un ricordo di Baget Bozzo, sarà il cavaliere ad avere l’ultima parola.
Qualche giornalista lascia intravedere novità e sfracelli, io resto scettico. In ogni caso riprendo qui l’articolo che feci l’anno che aprì la scuola. Mi pare tuttora attualissimo. Aspetto commenti. (S.L.L.)
Il regno del prete Gianni
(micropolis marzo 2003)
Il 22 marzo una conferenza stampa del coordinatore di Forza Italia deputato Antonione, del responsabile dei dipartimenti, Sandro Bondi, del deputato europeo e prete Baget Bozzo, una sorta di preside, ha annunciato il primo esperimento di scuola quadri del partito di Berlusconi. La novella è lieta anche per l’Umbria, che avrà il privilegio di ospitare a Gubbio maestri e discepoli a fine agosto. La Reuter, l’ANSA, i giornali hanno comunicato con ampiezza le novità del breve corso; Radio Radicale ha trasmesso l’intera conferenza, ora disponibile nel sito. E’ dunque possibile farsi un’idea precisa dell’asse culturale e pedagogico dell’operazione.
I tre vogliono una scuola “non ideologica”, anzi “nemica di ogni ideologia”. Il senso di consimili ripulse era chiaro a Franco Fortini già quarant’anni fa, quando ne L’ospite ingrato dichiarava che “chi parla di morte delle ideologie in realtà vuole la morte del marxismo”. Oggi i nemici della ideologia non hanno bisogno di travestimenti, si dichiarano senza complessi “liberali” e sbandierano i maestri pensatori: Sturzo, Croce, Von Hayek, Einaudi. In questo, che Gianni Baget Bozzo chiama vezzoso “liberalismo eclettico”, Anonione tenta di inserire il pensiero sociale della Chiesa, ma il prete-preside gli fa “non t’allargare”. Visto che detesta i “cedimenti” giovannei e Paolini, salta a piè pari anche la Rerum novarum e regredisce a Tommaso D’Aquino, liberale autentico in quanto difensore della proprietà privata. Gianni, in gran forma, prosegue: “In Italia manca una tradizione liberale. Gli intellettuali erano tutti gramsciani, gramsciani di parte comunista o di parte cattolica. Berlusconi ha messo fine a ogni mediazione, si è rivolto al popolo con le parole del popolo. Per capire la differenza basta confrontare un discorso di Moro e uno di Berlusconi. In un’Italia che aveva una scuola di sinistra, una stampa e una Tv dominate del Sessantotto, Berlusconi ha realizzato un rapporto diretto tra il leader e il popolo”.
I forzisti, come i vecchi stalinisti, diffidano degli intellettuali; dicono che portano seco l’impronta filosofica dello stato etico hegeliano, i berlusconidi invece di un’etica pubblica non sentono alcun bisogno, si interessano piuttosto dei “diritti di ogni singola persona”. Di conseguenza, anche se potranno utilizzarne in futuro per apporti specialistici, per ora non li manderanno a fare lezione. La scuola di Gubbio, del resto hascelto la “pedagogia del fatto” di cui rivendica l’originalità: “Le Frattocchie? E’ l’antimodello perché noi non abbiamo una cultura da comunicare, ma dei fatti da commentare”. Bisogna fornire ai nuovi dirigenti l’interpretazione, “la coscienza di ciò che viene fatto”. A questo basteranno i ministri (Scajola, Tremonti, etc.) e le sottosegretarie. Il tutto per formare quadri che rappresentino nella federalizzazione del’Italia “la coerenza di disegno politico del governo liberale”, una coerenza che non deriva dall’ideologia ma dallo “stile” negli atti di governo. “Gli atti – spiega il prete - non sono accidenti”. Sentiamo puzza di Gentile, ma non vogliamo buttarla in filosofia. E’ certo che, grazie a questi insegnamenti, cresce il rischio di trovare “berluschini” in ogni dove. Se possibile c’è di peggio. La didattica dell’atto, lo sprezzo per il pensiero e per gli intellettuali si ritrovano in tutti i regimi autocratici, ove l’esempio da seguire è costituito dall’opera del “capo”. Così per Hitler, Mussolini, Peron, Mao, Stalin. Un bel saggio sulla storiografia sovietica, scritto nel 1988 da Alexandr Nekric, in piena perestrojka, ci spiega come, dopo il Breve corso sulla storia del Pcus, ispirato direttamente da Stalin, agli studiosi veniva proposto di “commentare le direttive di partito mediante opere di carattere storico”. Valeva per gli storici, ma anche per i filosofi e perfino per gli scienziati: la storia, il marxismo, il materialismo, la fisica, la biologia svolgevano la stessa funzione del “liberalismo eclettico” del prete Gianni. Si allargavano e restringevano come la pelle di certa parti del corpo a giustificare le scelte del capo. Le Frattocchie casomai, nel quadro dello stalinismo, rappresentavano una “diversità nell’unità”; pullulavano d’intellettuali nutriti dall’idealismo di Croce, che sebbene oggi sia arruolato dai forzisti nel liberalismo eclettico, aveva teorizzato la “circolarità dello Spirito” in una dialettica dei distinti. Essi insomma cercavano di garantire (con molta difficoltà) la coerenza dei fatti (assicurata dalla personalità del capo) con la coerenza delle idee. A Baget Bozzo potrebbe perciò accadere che, mentre rifiuta con orrore l’esempio dei comunisti italiani e della loro più celebre “scuola di partito”, si ritrovi inconsapevolmente ad imitare quello della Russia staliniana. Del resto il culto del capo in don Gianni ha accenti che rammentano quei tempi: “Si chiama La scuola, semplicemente. Se avessimo dovuto proprio scegliere un nome l’avremmo intitolata a Silvio Berlusconi. E’ lui l’ispiratore, l’ideatore, insomma è tutto merito suo”.
Il corso sta ottenendo un grande successo: in novanta hanno chiesto di parteciparvi già prima dell’annuncio ufficiale, e i posti sono solo cento. Bondi dice che bisognerà programmare altri moduli. Alla domanda se la scelta di Gubbio rappresenti il tentativo d’incursione in una regione rossa ed in una città ultrarossa, risponde no ché anzi quella città tranquila, quell’albergo ricavato da un convento creeranno tra insegnanti e allievi amicizia e familiarità. Ma il prete frena: “Non è un modello neppure il concetto di comunità che tanti danni ha fatto nel mondo ecclesiastico. Non vogliamo un partito ideologico ma neppure un partito come famiglia”. Abbiamo capito: vogliono un partito che ricordi la corte dell’Impero persiano.
Nel Link del titolo: Le cazzate di Baget Bozzo (da Le jene)
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