28.10.09

I maomettani di Ponte Felcino e il gratuito patrocinio

Un articolo del "Corriere dell'Umbria"
segnala l'inciviltà che avanza.
E’ del 20 ottobre la notizia della condanna del cosiddetto “imam di Ponte Felcino” (una frazione di Perugia) e di due suoi collaboratori, accusati di terrorismo (avrebbero convinto ed addestrato alla guerra santa): 6 anni di carcere per il primo, 4 anni e 3 e mezzo per gli altri due. Il giorno successivo sul “Corriere dell’Umbria” Bertoldi, rinomato cronista sportivo oggi passato alla nera, dà notizia del probabile ricorso in appello dei tre marocchini una volta depositata la sentenza. Ma ciò che più suscita il suo interesse è un apparente paradosso evidenziato nel titolo Terrorismo islamico, lo Stato paga: due dei condannati, non avendo mezzi di sostentamento, hanno ottenuto il “gratuito patrocinio”. “Il che vuol dire – spiega Bertoldi – che le spese relative ai due difensori verranno pagate dallo Stato italiano. Da tutti noi in pratica”. Ad effetto aggiunge: “Anche dalle famiglie dei nostri sei soldati, i parà della Folgore, morti in Afghanistan”; citazione non del tutto fuori luogo visto che uno degli imputati, in carcere a Macomer, avrebbe gioito della loro tragica fine insieme ad altri reclusi di fede islamica.
Al cronista e al giornale vorremmo, dopo una breve premessa, rivolgere qualche domanda. La legge che assicura il “gratuito patrocinio” a chi non è in grado di pagare l’avvocato è una norma di civiltà, che tende a garantire a tutti, compresi gli accusati dei crimini più efferati, perfino se colti in flagrante o rei confessi, un giusto processo. E’ con questa legge che ce l’hanno Bertoldi e il “corrierino”? Vorrebbero che i poveracci vadano ai processi senza avvocato? O affidati a una difesa d’ufficio gratuita che si affidi “alla clemenza della Corte”? Oppure vorrebbero che ne godano solo i cittadini italiani? Oppure vorrebbero escludere gli imputati di terrorismo poveri, per condannarli anche senza avvocato difensore? Allora perché fare il processo?
Queste domande, nelle nostre intenzioni paradossali come il titolo del quotidiano umbro, servono a denunciare un grave decadere nella comune coscienza, perfino in quella dei giornalisti, dei fondamenti della civiltà e del diritto.

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