6.10.09

Le forme di lotta, la crisi e il sindacato

7 ottobre 2009
I tg della tarda mattinata di ieri parlavano di tre dirigenti circondati e bloccati dagli operai alla Alstom di Colleferro, qualcuno accennava con cautela alle analogie con la Francia nelle cui fabbriche i "sequestri" di manager si dice siano stati frequenti e in più di un caso efficaci. Circolava la dichiarazione di un dirigente locale della Cgil: "Non permettiamo a nessuno di uscire, li abbiamo chiusi in direzione".
Nel tardo pomeriggio il ministro Sacconi dava la direttiva di "sdrammatizzare"; dichiarava che se si fosse trattato davvero di sequestro si sarebbe dovuto reagire con durezza, perchè l'Italia ha conosciuto il terrorismo, ma aggiungeva che i carabinieri garantivano nella fabbrica libertà di movimento per tutti. Dopo la convocazione delle parti prima alla Regione e poi al Ministero del lavoro, che segnava un modesto e provvisorio successo dei lavoratori, anche nel sindacato si tendeva a ridimensionare l'accaduto. Chi parlava di assemblea spontanea davanti alla direzione, chi di un sit-in, tutti escludevano il "sequestro".
Oggi l'ex direttore de "l'Unità", Peppino Caldarola, che dopo una precipitosa riconversione a destra ora scrive per i giornali degli Angelucci, su "Libero" sferra un attacco alla Cgil. Dopo aver definito la resistenza ai licenziamenti di Colleferro una "lotta sindacale con smentita incorporata" e "buffo" il ridimensionamento da parte del Viminale di una azione che la Cgil aveva enfatizzato ammette che, pur senza rapimenti, "a Colleferro è in corso un durissimo braccio di ferro e una lotta che sfiora l'esasperazione".
A Caldarola non sfugge che, sequestro o non sequestro, forme di lotta "estreme" sembrano diffondersi in Italia, dagli operai della Innse sulla gru a Milano ai precari napoletani sui tetti, e che la Cgil sembra fare da sponda: "Lo scontro non avviene più attraverso gli strumenti consolidati della tradizione sindacale, lo sciopero e la manifestazione, ma si scelgono forme che mettono a repentaglio la vita stessa dei lavoratori o che possono intaccare, anche solo per alcune ore, l'incolumità e la libertà di manager".
Lo stilema che conclude il pistolotto è umoristico. Della libertà dei manager, dalle remunerazioni a volte favolose, negli ultimi due decenni di feroce riscossa padronale, hanno sempre più fatto parte il dismettere, il delocalizzare, l'esternalizzare, il licenziare, spesso con assoluta nonchalance: qualche ora di non libertà non può fare che bene a loro e all'umanità intera. E' invece discutibile (l'uomo non è stupido e nei suoi argomenti c'è appunto da discutere) la lettura complessiva che Caldarola dà della situazione della Cgil (e, in parte, delle altre confederazioni: "Siamo di fronte a una mutazione genetica del sindacato italiano. La conquista della cosiddetta soggettività politica ha allontanato i sindacati dai luoghi di lavoro. [...] Si sta creando una sorta di doppio regime sindacale che se da un lato vede i vertici delle Confederazioni esclusivamente impegnati nella battaglia politica lascia completamente scoperte le aziende e privi di tutela e di rappresentanza centinaia di migliaia di lavoratori".
Se fossero dirette a Cisl e Uil le critiche di Caldarola sarebbero sottoscrivibili. Le confederazioni degli accordi separati si presentano ogni giorno di più come sindacato governativo e padronale. Il progetto connesso al depotenziamento del contratto nazionale prevedeva la distribuzione di scampoli di salario aggiuntivo nelle regioni più ricche e nei settori che tirano, ma con questi chiari di luna neppure lì c'è trippa per gatti. Ci si sarebbe potuto aspettare che Cisl e Uil contribuissero ad una battaglia generalizzata per detassazioni del salario da una parte e per un'estensione e potenziamento degli ammortizzatori sociali dall'altra; ma pare che non cerchino più una legittimazione di base. Si presentano come i sindacati riconosciuti o "più riconosciuti" dal governo e chiedeno il consenso dei lavoratori sulla base dello speciale favore di cui godrebbero nelle segrete stanze del potere.
Kalecki, un grande economista legato alla socialdemocrazia, in un saggio degli anni quaranta che "micropolis" di ottobre 2008 ha ripubblicato, spiegava ideologia e pratica dei capitalisti nei tempi di crisi: non vogliono gli interventi diretti di uno Stato che acquisisca e gestisca, giudicano "soldi buttati" quelli che si distribuiscono ai disoccupati e ai sottoccupati per stimolare i consumi e pretendono che tutto lo spendibile si usi come aiuto alle imprese. Questa linea dovrebbe trovare una resistenza nel sindacato. Ma Cisl e Uil, pur consapevoli che, quando si sceglie l'industriale come intermediario, quasi mai l'investimento pubblico dà grandi ritorni in termini di occupazione, subiscono la linea tremontiana di dare il poco che c'è tutto alle imprese (in forma diretta o di commesse pubbliche). Chiamarli sindacati padronali non è solo una deformazione polemica.
E la Cgil? La rappresentazione che Caldarola ne dà la vede divisa tra un vertice impegnato nella "politica" e diviso dalla politica e i quadri di base costretti a inseguire le forme di lotta più dure o addirittura l'illegalità. In fondo anche questo è un riconoscimento alla "diversità" della Cgil, un sindacato che cerca la propria legittimazione nella vicinanza ai lavoratori e non rifiuta il conflitto. Ma non c'è dubbio che le pressioni sulla grande e antica confederazione classista siano fortissime, dall'esterno e dall'interno.

A me mutatis mutandis (e quel che è mutato è mutato in peggio) la situazione attuale del sindacato ricorda il 1980. Nel settembre di quell'anno la Fiat, per superare il momento di grave crisi del mercato internazionale, mise in cassa integrazione 28 mila operai. E poi, siccome si erano rotte le trattative con i sindacati, aveva spedito 13 mila lettere di licenziamento, espellendo per primi i quadri sindacali e buona parte delle donne entrate nella fase di espansione. Ai cancelli del colosso automobilistico, accompagnato da Sergio Garavini, arrivò Enrico Berlinguer per portare la sua solidarietà dopo che la Flm aveva bloccato la Fiat in un clima di grande scontro. Fece un giro per i vari cancelli, Mirafiori, Rivalta, Lancia di Chivasso, accolto dappertutto da una folla enorme. Anche se non era previsto un suo intervento, accettò di parlare, su un palco improvvisato e con un microfono di emergenza, fra donne e uomini che per la commozione piangevano senza vergogna. Come documentano testimonianze e filmati è falsa la leggenda di un Berlinguer estremista che avrebbe incendiato gli animi e proposto l'occupazione della Fiat. In realtà, quando un sindacalista della Fim-Cisl gli chiese cosa avrebbe fatto se gli operai avessero occupato le fabbriche, rispose che la scelta era interamente affidata ai lavoratori. Aggiunse: "Se dovessero arrivare a questo per responsabiltà dell'azienda, i comunisti faranno la loro parte". Come è noto, anche per le scelte di Luciano Lama, sostenuto dalla destra del Pci, il sindacato firmò un brutto accordo, preludio a successivi arretramenti.
Oggi in moltissimi luoghi di lavoro la situazione non è meno drammatica e la spinta spontanea a forme di lotta "estreme" è fortissima. Essa è favorita da 25 anni di legislazione e di concertazione tese a limitare l'esercizio del diritto di sciopero, che, non solo nei servizi, ma anche nelle aziende private è sottoposto a tante condizioni da renderlo inesigibile. (Tra parentesi, quando si ricorda Gino Giugni da poco scomparso, se non ci si vuole adeguare all'ipocrita parce sepulto bisognerà da sinistra dargli i meriti dello Statuto dei lavoratori, ma anche i demeriti delle limitazioni al diritto di sciopero).
Caldarola vorrebbe che la Cgil, come assai spesso ha fatto negli ultimi 25 anni, si contrapponga ad occupazioni, presidi, etc., lasciando queste pratiche in esclusiva al sindacalismo autonomo o di base. Credo che non manchi in Cgil chi è d'accordo con lui, ma io penso che invece debba provare a guidare le nuove forme di lotta e incanalarle in un grande movimento unitario che sposti progressivamente anche le altre confederazioni e abbia come sbocco uno sciopero generale all'inizio dell'anno venturo. (S.L.L.)


P.s. L'ex direttore de "l'Unità" non si risparmia una carognata: "Sono gli stessi luoghi di lavoro da cui è sparita la sinistra radicale troppo occupata a ricercare la rielezione di Vendola". Non c'entra granchè con l'articolo ma sui giornali degli Angelucci una maialata contro Nichi non deve mai mancare.

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