La foto è di Luca Gricinella, dal blog: http://blaluca.wordpress.com
È stato l’unico premio Nobel per la pace italiano, nel lontano 1907. Ma di lui si è persa ogni traccia: non una scuola, un parco pubblico o una strada intitolate a suo nome. Solo un francobollo nel ‘63. Ecco chi era Ernesto Teodoro Moneta
L’avesse davvero vinto Silvio Berlusconi – come qualcuno auspicava – il Nobel per la pace sarebbe tornato per la seconda volta in Italia, anzi in Brianza. La precedente e unica, infatti, fu nel 1907, destinatario il patriota Ernesto Teodoro Moneta. Sarà per un’altra volta. Pacifista militante e militare, già questo fa capire che trattavasi di personaggio complesso, controverso, poliedrico. E dimenticato. Per avere il polso della fama dell’unico Nobel per la pace nostrano, fermate le prime cento persone per strada, o i primi cento milanesi, e chiedetegli lumi sul “predecessore” di Barack Obama nel prestigioso albo d’oro. Una raffica di «boh?».
In tutta la penisola, infatti, non una scuola, un parco pubblico, una piazzetta, un vicolo, una biblioteca, un centro culturale, una bocciofila, è intitolata a Moneta. Nessun sussidiario o libro di storia di qualsiasi scuola di ogni ordine e grado, gli dedica non un capitolo ma solamente una riga.
Il massimo delle onorificenze l’ebbe dopo sei anni dalla morte, nel 1924, quando alcuni discepoli gli eressero un busto, nei giardini di via Palestro, a Milano. La targa, curiosamente, recita: “Garibaldino, pensatore pubblicista, apostolo della pace fra libere genti”. Nemmeno un richiamo al Nobel, forse per non irritare il regime, allergico a tutto ciò che era pacifico e pacifista. Tutto vano: il federale di turno spostò il Nobel in busto marmo in un magazzino comunale, dopo la Liberazione il riprese il suo posto tra le ortiche e i piccioni.
Per il resto, oltre a un convegno per il centenario del premio, oltre qualche libro biografico e qualche tesi di laurea (i primi spesso una rielaborazione delle seconde), l’oblio. Un lontano nipote, studente a Padova, qualche anno fa chiese teneramente di intitolare al trisavolo una strada complementare al Metrobus cittadino, fin lì teatro di liti furibonde tra cittadini e amministratori pubblici, quindi come segno di pacificazione. Non se ne fece niente, ovvio. Il tutto per dire che quello che oggi è un colpo mediatico di prim’ordine (Obama) ieri era il passaporto per una rimozione tombale.
Milanese di nascita (1833), la sua fu una vita divisa in tre fasi ben distinte: la prima da patriota risorgimentale, la seconda da giornalista illustre e la terza da pacifista convinto. Il professor Arturo Colombo, docente emerito di storia delle dottrine politiche a Pavia, di Moneta è uno dei massimi studiosi: «Aveva partecipato il padre e con il fratello alle cinque giornate di Milano, tirando sassi contro gli austriaci di Radetzki. Combattè nelle guerre d’indipendenza come ufficiale, tentando anche di arruolarsi nella spedizione dei Mille, vide lo scempio “di un campo di battaglia, i petti squarciati, i crani aperti, le membra rotte, i contorcimenti, gli spasimi, i gemiti, le lunghe strazianti agonie dei feriti”. Quanto basta per capire che nessuna vittoria poteva arrivare con le armi, ma solo educando il popolo contro l’inumanità di ogni guerra».
Scelse allora il giornalismo come missione, dirigendo per 30 anni il Secolo, quotidiano di stampo radical-progressista, oggi diremmo di centrosinistra, che portò dalle 30mila alle 100mila copie. Nel 1870 fondò l’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato. Nemico acerrimo del trasformismo di Depretis, si oppose a qualsiasi guerra di aggressione osteggiando aspramente la campagna d’Africa, terminata con il massacro di Adua.
Domenico Fronzoni ha scritto “Un milanese per la pace, Premio Nobel 1907″: «Leggendo i suoi testi si vede che non aveva quel pacifismo alla Tolstoj, ma pensava alla pace in maniera molto concreta, fondata sulla sicurezza, molto realista, da profondo conoscitore del mondo militare qual era». Colombo: «Era un massone, un idealista realista, che detestava i fanatici e i fatalisti, convinto della necessità di educare le nuove generazioni all’idea che uccidere altri uomini è una pessima politica, e che il diritto serve più delle armi».
Idealista realista, dunque. Sembra un ossimoro, ma è il riassunto di ogni vita, la sua come la nostra, che gioca ogni tanto a far coincidere gli opposti. Tanto che “l’apostolo della pace”, premiato con il Nobel, nel giro di qualche anno fu fervente sostenitore prima della guerra di Libia promossa dallo stesso Giolitti, poi dell’intervento dell’Italia nella Grande Guerra, fosse solo per riavere Trento e Trieste.
Ancora il professor Colombo: «Questo fatto certamente creò scompiglio e malesseri nel mondo del pacifismo internazionale, ma bisogna considerare la visione del Moneta, che inseriva quel conflitto nel completamento dell’opera risorgimentale dell’unità del Paese. Certo, uno studioso oggi non saprebbe a chi rivolgersi per avere suoi testi, consultare gli scritti, nessuno si è mai preso la briga di raccoglierli».
Ma guai a ricamare troppo sulla rimozione collettiva. Più che opportunismo politico e culturale, sembra questione di pigrizia. Il giornalista Claudio Rigaini è l’autore di “Giù le armi!”, forse la più completa ricostruzione della figura del pacifista milanese: «È una vicenda vecchia di un secolo fa e sembra ancora più lontana nel tempo». Spiegazione un po’ deboluccia, visto che con Dante, per dire, si va indietro di settecento anni… «D’accordo, ma il premio Nobel ha acquistato una sua importanza solo negli ultimi 30 anni, se guardiamo i vincitori precedenti troviamo degli illustri sconosciuti».
E aggiunge: «Per il mio libro consultai l’archivio privato che fino ad allora era stato custodito nella soffitta della villa di famiglia a Missaglia, in Brianza. C’erano scritti, disegni, appunti, carteggi con personaggi importanti come Garibaldi, una lettera autografa di Tolstoj, scambio di lettere con Mazzini, Cavallotti, Pareto, Turati, Anna Kuliscioff. Il tutto contenuto dentro polverosi scatoloni, nell’incuria più totale. I documenti vennero custoditi poi dalla Società per la pace, ma si… smarrirono in uno dei successivi traslochi. Alcune lettere ricomparvero qualche anno più tardi, acquistate dal Museo del risorgimento di Milano in un’asta di Christie a Londra». Come da copione.
Il Nobel gli fruttò un assegno di 95 mila lire, che versò tutta nelle casse dell’Unione lombarda per la pace. Morì praticamente cieco, nel 1918. Nel 1963 le Poste gli dedicarono un francobollo: lui ritratto di profilo e due colombe sullo sfondo. E fu il massimo.
Salve,
RispondiEliminaqui Luca Gricinella, autore del blog Blaluca e della foto della scultura che ritrae Moneta e che lei ha postato insieme all'articolo. Per me va benissimo che la si usi, ma potrebbe per favore accreditarmela?
Grazie,
Luca
La foto scattata da Luca Gricinella e da lui resa disponibile per la comunità degli internauti non solo gli è costata fatica, ma a me sembra anche molto bella. Grazie.
RispondiEliminaGrazie!
RispondiEliminaSIAMO UN GRUPPO DI LIBERI PENSATORI E LA NOSTRA ASSOCIAZIONE E' INTITOLATA ALL'ILLUSTRE PREMIO NOBEL SVOLGIAMO LA NOSTRA ATTIVITA' A COMO E CON L'IMPEGNO CHE CI MUOVE NEI NOSTRI INCONTRI CI FACCIAMO PROMOTORI PRESO LE AUTORITA' LOCALI DI INTITOLARE UNA SCUOLA A TEODORO MONETA CONVINTI CHE LA PACE SI COSTRUISCE SE SI ABBATTE L'IGNORANZA.
RispondiEliminaAi liberi pensatori di Como. Come vedete nel mio piccolo cerco di dare un contributo alla conoscenza di Moneta e di altri italiani liberi, umanitari e generosi. Se troverò un vosto sito, darò un po' di spazio ai vostri encomiabili sforzi. Non escludo poi che a Perugia si possa fare qualcosa per dedicare al premio Nobel una via. E' città tradizionalmente massonica e aperta al libero pensiero.
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