20.12.09

L'articolo della domenica. La beatificazione di Pio XII. Il patrizio romano e il pastore tedesco (S.L.L.)


La scelta di accelerare il processo di beatificazione di Pio XII ha determinato pronte reazioni nel mondo ebraico. Ma già Ratzinger aveva mostrato di non temerle quando riammise nella Chiesa il vescovo lefevriano Williamson, autore di dichiarazioni negazioniste sulla Shoah e sostenitore dell’autenticità dei protocolli. Il dialogo interconfessionale non sembra da tempo essere ai primi posti nell’agenda del “pastore tedesco”, il quale sembra invece volere mettere fine alle aperture conciliari, almeno su questo punto riaffermate dal lungo e controverso papato vojtiliano.
La rivalutazione di papa Pio, del resto, sembra essere tutta dentro un disegno che giustamente Paolo Flores D’Arcais, sull’ultimo “Micromega” definisce controriformistico.
Quel papa, il nobiluomo romano Eugenio Pacelli, è passato alla storia oltre che per i suoi silenzi durante la seconda guerra mondiale, per la scomunica degli iscritti a partiti comunisti, degli elettori comunisti, estesa ai movimenti e ai gruppi alleati dei comunisti. Flores interpreta il suo papato come conservatore: la sua Chiesa si ergeva come “diga” non solo nei confronti del comunismo, ma anche contro tutte le sirene della modernità. Ma controriformistico era nelle sue linee fondamentali il modo con cui concepiva la sua funzione e la sua stessa immagine, il modo con cui manifestare al “mondo” il suo preteso carisma. La sua immagine ieratica, il suo raro offrirsi alla vista altrui, il suo limitare al minimo gli spostamenti da Roma, il suo amare le funzioni solenni, gli emblemi del potere papale e sacerdotale, insomma la mescolanza tra “unzione” e “apparato” di cui si sostanzia la religiosità “controriformistica”.
Flores sintetizza le differenze di fondo tra il papato pacelliano e le attuali scelte pontificie in una doppia immagine: dalla “diga” si passarebbe alla reconquista. In effetti Ratzinger non sembra chiudersi in una cittadella fortificata, ma sfidare esplicitamente tutta la cultura dell’Occidente moderno, dall’Illuminismo in poi, e portare questa sfida in tutti i luoghi, in tutte le situazioni.
Noi diremo che Pio e Benedetto rappresentano, con tutte le modificazioni richieste dai secoli trascorsi, due facce della Controriforma, due tempi diversi dello stesso processo, il primo la difesa, l’altro l’attacco.
Le ragioni della diversa scelta sono squadernate davanti agli occhi di tutti. Il fallimento dell’assalto al cielo del XX secolo, del comunismo che aveva preteso di liberare il mondo dallo sfruttamento e dall’ingiustizia sociale, appare oggi ai capi della gerarchia vaticana l’occasione per liquidare definitivamente, in primo luogo al proprio interno, una cultura che rivendicava una politica laica e democratica e un approccio non confessionale ai problemi della società.
Quel che Ratzinger sembra dire ai suoi (e a tutti gli altri), anche attraverso la beatificazione di Pio IX, è che “la lunga ricreazione è finita”, che il tempo del cattolicesimo liberale, del cattolicesimo democratico, dei cristianesimo per il socialismo si è esaurito per sempre, e si torna alla antica “Ragion di Stato”.
A noi, che contro corrente continuiamo a dirci comunisti e marxisti, al di là delle goffaggini tedesche del papa, è consegnata una domanda storica, teorica e pratica. Non avranno ragione i preti, quando nel raccontarci la storia degli ultimi tre secoli ci spiegano che il sedicente paradiso terrestre, la “grande caserma sovietica” non era una rottura con il pensiero illumistico e laico della borghesia settecentesca, ma il più ambizioso tentativo di realizzare una politica maggiorenne, senza santi protettori e madonne ausiliatrici, in grado di fare a meno del Dio e del suo terreno vicariato? Non sarà il caso che un nuova teoria e una nuova prassi della liberazione, che un nuovo comunismo più consapevolmente ed esplicitamente sussumano gli elementi laici, democratici e liberali, del pensiero borghese?

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