31.1.10

L'articolo della domenica. Il sogno di Obama e il buco nero di Guantanamo.


Già prima del 27 gennaio, giorno del tradizionale discorso del Presidente Usa sullo stato dell’Unione, i quotidiani ci hanno dato notizia di una sua nuova, grave difficoltà, se non di un altro sostanziale fallimento.

La task force del Ministero della Giustizia Usa ha, infatti, concluso l’esame dello status di tutti i presunti terroristi detenuti a Guantanamo. Quella prigione nell’isola di Cuba era e resta al di fuori di ogni possibile giustificazione in termini di diritto. La sua originaria illegalità, aggravata dal documentato uso della tortura, era stata, in campagna elettorale, uno dei principali bersagli polemici di Obama. Più volte aveva parlato di una macchia infamante per l’America e si era impegnato a cancellarla entro il primo anno di presidenza. Sul tema aveva tenuto il punto anche dopo le elezioni, promettendo che, in breve tempo, chiarita la posizione di ognuno di loro, quei detenuti sarebbero stati liberati o processati e la prigione extraterritoriale di Guantanamo chiusa per sempre.

Gli esperti della Giustizia statunitense sembrano ora giunti a una conclusione che smentisce la promessa. A loro avviso 110 detenuti potranno essere rilasciati perché non costituiscono un pericolo per la sicurezza, 35 saranno processati da tribunali civili o commissioni militari, ma i rimanenti 47 “non saranno né liberati né processati”, insomma rimarranno nell’attuale extraterritorialità, nel buco nero che li ha risucchiati.

I dirigenti dell’Aclu (l’associazione per le libertà civili nell’Unione) ha duramente protestato. “Così – hanno fatto notare – la chiusura di Guantanamo diventa un atto puramente simbolico, di scarso valore”. “Se ci sono delle prove a carico dei 47 – hanno aggiunto – li si processi”. La risposta della task force è che le prove, raccolte dalla Cia in operazioni di guerra non ortodosse, non reggerebbero al vaglio dei tribunali e che, tuttavia, quei 47 non possono essere rilasciati senza rischio. La parola, adesso, spetta al Consiglio di sicurezza nazionale, prima che il rapporto entri nell’agenda di Obama.

Il tema nel discorso presidenziale è rimasto ai margini, appena sfiorato, sommerso da esigenze che a Obama e ai suoi consiglieri sembravano più urgenti e popolari. Credo che sia un errore gravissimo, al limite dell’irreparabile.

La forza del nuovo presidente consisteva in una sfida a tutto campo. La politica interna (riforma di Wall Street, riforma sanitaria, nuove politiche di sviluppo ecocompatibile come risposta alla crisi) e la politica estera (dialogo al posto della guerra di civiltà, diritto e libertà per tutti, accordo sul clima, nuovi accordi per il disarmo) si tenevano insieme l’una con l’altra. Tutti i temi del discorso di Obama (non ultimo la chiusura di Guantanamo e il ritorno allo stato di diritto) si tenevano l’uno con l’altro e contribuivano a costruire una sorta di positiva utopia che rinverdiva la “nuova frontiera” kennediana e, ancor più, il New Deal di Roosevelt. Oggi Obama sconta un’insoddisfazione che percorre tutto il suo campo dai ceti popolari agli intellettuali liberal. Gli nuoce la prudenza e l’incertezza nel fare più che nel dire, gli nuoce la pratica del rinvio e della mediazione: altri due anni per l’Iraq, un altro per Guantanamo, la riforma sanitaria dimezzata etc. Emblematica è la dichiarata delusione del Nobel Paul Krugman, uno dei liberal che nelle ultime settimane si sono sentiti traditi. Ma, nonostante l’alato discorso del 27, fortemente critico e in parte autocritico, la sua amministrazione sembra continuare a prendere tempo. Su Guantanamo l'inviato speciale del governi Usa a Bruxelles, Daniel Fried, ha detto: "Pensiamo di riuscire a chiuderlo entro la fine del mandato di Obama”. Se va avanti così il buco nero di quella prigione e della realpolitik finirà con l’inghiottire per intero il sogno americano del primo presidente nero, il quale perderà non solo le elezioni di metà mandato e quelle per il suo rinnovo, ma un’occasione storica per rinnovare positivamente la storia dell’America e del mondo.

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