14.2.10

I Vini Corvo e l'agnello sacrificale (da una intervista a Topazia Alliata di Salaparuta - da "alias" 9 settembre 2006)


Topazia Alliata di Salaparuta (1913) si avvicina ai cento anni. Vita d’arte e d’amore. L’adolescenza aristocratica in Sicilia, l’amicizia con Guttuso e Tranchina, l’amore e il matrimonio con Fosco Maraini (da cui nascono Dacia, Toni e Yuki). Poi in Giappone: la scoperta di un altro mondo e la durissima prigionia per essersi rifiutata di aderire alla Repubblica di Salò. Nel dopoguerra il ritorno in Italia, la casa vinicola Corvo a Casteldaccia, la galleria a Roma. “Alias” del nove settembre 2006 in occasione del suo compleanno ospitò una sua lunga intervista a Manuela De Leonardis dal titolo Un filo di perle lungo 90 anni. Ne riporto qui una parte, quella relativa ai vini Corvo. C’è dentro non solo un frammento di storia industriale siciliana, ma anche qualche spiegazione per una crisi senza fine, figlia della incultura del famelico ceto politico isolano.

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Dopo il Giappone ha vissuto in Sicilia, dove dal 1946 al 1955, ha gestito la casa vinicola Vini Corvo, fondata dal suo bisnonno Edoardo e gestita da suo padre Enrico. Che ricordi ha di quel periodo?
Era una ditta privata e le spese erano tante. Finché la gestiva mio padre era un’attività piccola, con dodici impiegati. Cercai di industrializzarla, facendo venire macchinari dalla Francia. Credevo di rinnovare tutto, poi però mi mancò la quantità d’acqua necessaria e l’energia elettrica. Questo fu uno degli errori. La Sicilia era lontana, era come una colonia. Le etichette venivano stampate in Toscana, i tappi venivano dalla Sardegna, le bottiglie venivano da Genova, le casse non mi ricordo. Insomma tutto costava il doppio. Però non volevo dichiarare fallimento. Alla fine la vendetti alla Regione Sicilia. Per me era come dare un quadro a un museo. Questa era l’intenzione: perché restasse il nome di mio padre, le etichette con i marchi originali depositati nel 1824. Invece la Regione l’ha data in un primo momento in gestione, senza mettere le condizioni nel contratto. Mi avevano anche promesso che avrei mantenuto il controllo della produzione, dato che sono maestro assaggiatore del’Ordine Nazionale degli assaggiatori vinicoli, con tanto di diploma preso nel 1953. Alla fine la ditta è stata privatizzata, senza che ne fossi informata, e comprata dall’azienda che fa anche l’Amaretto di Saronno. Dall’etichetta hanno tolto anche il nome di mio padre!


Sempre a proposito del Corvo di Salaparuta nelle pagine di Ricordi d’arte e prigionia di Topazia Alliata si legge una denuncia delle vicissitudini che hanno accompagnato il destino dei Vini Corvo.
Alcuni anni fa una certa pubblicità mostrava una bottiglia di Corvo, accanto a un elegante piatto di prosciutto. Toni era inorridita perché mio padre era un vegetariano vero. Nel 1930 aveva scritto anche un libro di cucina vegetariana, il Manuale di Gastrosofia naturista. Era vegetariano per ragioni filosofiche e scientifiche. Ma era anche molto democratico e liberale per cui a tavola c’era sempre carne. Maman era molto golosa di carne, come pure la governante inglese e i camerieri. Perciò a casa si cucinava la carne, e papà quando si metteva a tavola diceva sempre sorridendo: “Bè questi carnivori oggi che cosa hanno?”. Era un uomo molto intelligente. Anche io sono vegetariana. Una volta, da ragazzina, dovevamo uccidere un agnello e c’era la figlia del giardiniere, con cui giocavo, che mi chiamò per andare a vedere. Era come un avvenimento. Chiesi a mio padre di poterci andare. Lui ci pensò un momento, poi disse: “Vai! Vai!”. Ancora oggi mi ricordo di tutti i particolari: di come veniva tenuta la testa dell’agnello, gli veniva infilato in gola il coltello appuntito. L’agnello piangeva, uscì il sangue e alla fine chinò il capo. Mio padre lo sapeva che mi avrebbe fatto effetto, ma mi lasciò andare. Io rimasi così impressionata che non ho mai più mangiato carne”.

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