19.2.10

Il cantante del lager. Una persona e un libro.


Nuova Dimensione è una piccola casa editrice di Portogruaro, assai legata al territorio triveneto, che aspira a rappresentare un Nord Est diverso da quello egoista e un po’ razzista che si lascia sedurre dal populismo della Lega. Nel suo catalogo c’è un volumetto ormai storico, il Processo a Marghera sulle morti del Petrolchimico, ci sono “microstorie” intriganti come quella degli “animali al fronte” nella prima guerra mondiale e libri sull’attualità più scottante, come il tema delle badanti o della convivenza etnica in un tempo che l’ha resa più difficile. Tra gli ultimi volumi pubblicati ce n’è uno di cui sono venuto a conoscenza per caso e che acquisterò quanto prima, Il cantante del lager. E’ un libro di memorie, di memorie orrende, opera di un deportato politico triestino, Eno Mucchiutti, che passò, destinato a morte, 11 mesi nei campi di sterminio, a scavare come bestia nella Totestiege di Mathausen o nelle cave di Melk. Deve la salvezza alla sua professione di cantante lirico ed all’amore per la musica assai diffuso tra gli ufficiali tedeschi. Un esempio ulteriore di quella “banalizzazione del male” di cui parlò Hannah Arendt a proposito di Eichmann. Gli esecutori del più orrendo genocidio della storia erano, nel tempo libero dal “lavoro”, persone normali, perfino sensibili, capaci di gioire del canto, di commuoversene fino alle lacrime. Per tutto ciò ho sentito forte un sentimento di orrore, tuttora vivo, nelle parole di Mucchiutti raccolte per il “Messaggero Veneto” dall’ottima Valentina Coluccia, che lo ha incontrato in occasione della presentazione udinese del suo libro: “I tedeschi amavano tantissimo la musica, specialmente quella lirica italiana. Così, dopo 15-16 ore di lavoro, mi chiamavano per farmi cantare e allietare le loro serate. Il premio consisteva in una forma di pane che come un dolente Cristo, ridotto all’osso, io dividevo poi nel blocco insieme con i miei compagni”. E c’è nella storia qualche particolare che ricorda Primo Levi, i suoi “sommersi e i suoi “salvati”: “Con me la memoria non è stata pietosa, non ha cioè addolcito i ricordi, anzi mi ha fatto riflettere come molte volte, per sopravvivere, fossi diventato proprio quello che volevano i tedeschi, una bestia senza limiti, se non quello della sopravvivenza. Questo non significa che non fossi solidale con i miei compagni di sventura, ma che ero un solitario per scelta, perché tutti quelli a cui mi affezionavo o morivano uccisi dalle botte o dagli stenti”. Dopo la liberazione Mucchiutti ha ripreso con successo la sua attività artistica, nella sua carriera ha cantato con “mostri sacri” come la Callas o Pavarotti, ma – dice – “la mia voce non è stata più la stessa. E non parlo della sua intensità o del suo timbro, parlo di quello che ha trasmesso poi, che ha modulato dopo che gli occhi avevano visto tutto il dolore e lo strazio e la morte del campo di sterminio”.

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