24.2.10

Malacucina. Un libro di Ariodante Fabretti sulla prostituzione nella Perugia medievale (S.L.L.)

Il testo che segue, pubblicato su micropolis nel maggio 2001, è collegato alla polemica sulla prostituzione e alla campagna per la punizione del cliente, condotta soprattutto dal prete Oreste Benzi. (S.L.L.)
Perugia - Via Volte della Pace

Ariodante Fabretti
Nel 1890 l’erudito perugino Ariodante Fabretti, a proprie spese, pubblicò a Torino, con il titolo La prostituzione in Perugia nei secoli XIV, XV e XVI, una serie di documenti che aveva reperito nell’Archivio Comunale di Perugia a partire dal 1848. Il volumetto è dedicato all’amico Luigi Pagliani, “direttore dell’Officio di Sanità del Regno d’Italia” e la breve introduzione esplicitamente collega la scelta del tema ai “nuovi ordinamenti sulla prostituzione, che conciliano la libertà con la salute pubblica e col civile decoro”.
I testi, che coprono il periodo dal 1342 al 1557, sono statuti, interdizioni, contratti, atti di vendita, petizioni, ordinanze di sfratto. Quelli in latino non sono tradotti e mancano quasi del tutto di annotazioni; l’unico corredo è la piantina di un settore della città. Tutto ciò in coerenza con la storiografia positivistica, che nutriva un vero e proprio culto per il documento e pretendeva che fosse, nella sua nuda evidenza, più eloquente di qualsiasi interpretazione.
Il primo testo è tratto dallo Statuto del Comune, nella volgarizzazione del 1342. In esso si ordina che “niuna meretrice overo putana overo lavatrice de capeta” alloggi a meno di dieci case di distanza dalla chiesa di Sant’Ercolano di Porta San Pietro o da altre chiese cittadine. Una pesante multa punirà tanto le prostitute quanto chi le ospiti, gratis o in affitto, nello spazio interdetto. Lo stesso statuto proibisce alla “femmena” di congiungersi carnalmente “collo leproso”, a meno che non sia suo marito. Le pene sono terribili: sarà frustata “per tucta la cità e per gli borghe”, le sarà “troncato il naso” e infine sarà bandita dalla territorio comunale. Si aggiunge che “en quilla medesima pena sia punita la femmina cristiana sé congiongente carnalmente ad alcuno giudeo”. Sorprende qui la doppia parificazione della prostituta con la lavatrice di capo (forse origine della immeritata fama che circonda tuttora le “sciampiste”) e del lebbroso con l’ebreo (fonte di pregiudizi assai più cruenti).
Nel 1359 si registra un giro di vite, probabilmente legato ad esigenze finanziarie. Le meretrici furono obbligate a concentrarsi nel luogo “dicto Malacucina”, un budello che, grosso modo, si dipartiva dall’odierna via Mazzini, all’altezza del Caffè di Perugia: dovevano abitare lì e restarci giorno e notte; ne potevano sortire, per poche ore, soltanto il sabato. Le controllava il “comparatore”, una sorta di appaltatore monopolista del commercio sessuale, esattore della gabella postribuli e tenutario delle case di Malacucina,. Ad ogni violazione degli obblighi da parte delle prostitute corrispondevano multe salate, i cui introiti erano divisi fifty fifty tra le casse comunali e il “comparatore”.
I documenti che seguono, di fine Trecento e del primo Quattrocento, sono tutti legati alla gestione del monopolio sulle case di tolleranza. Le condizioni delle donne sembrano ulteriormente peggiorare. Se non riescono a pagare la gabella e i fitti esosi, sono praticamente ridotte in schiavitù, obbligate a prestare al “comparatore” ogni sorta di servizio. In base al contratto, il titolare dell’appalto poteva anche percuoterle a suo arbitrio, purché “senza ferro e senza libitazione de membro” e purché le batoste non producessero morte. Un abbigliamento particolare (un velo rosso) deve inoltre distinguere le prostitute anche nelle poche ore di libera uscita.
Di contratto in contratto si arriva al 1424. Perugia è sotto il governo pontificio e il legato del Papa, il vescovo Coraro, il cosiddetto Cardinale di Bologna, decreta di esentare le meretrici e le serventi del bordello dal pagamento della gabella. Il decreto è rinnovato l’anno dopo dal suo successore, il vescovo di Venezia Pier Donato, il quale in ottimo latino dichiara di emanarlo “per il comodo, l’utilità ed il bene della Comunità perugina”, previa una lettera dalla Curia Romana che lo ha rassicurato sulla volontà del Papa.
Un vero e proprio movimento delle prostitute e dei loro protettori per la riduzione dei fitti si manifesta negli anni seguenti. Di fatto nel 1452 i Priori delle Arti decretano che sia ridotta da tre a due bolognini il prezzo giornaliero della pensione in Malacucina. Intanto il bordello perugino si è internazionalizzato: impresari Tedeschi e Francesi (“Teotonici et Frangigenenses”) arrivano con vere e proprie compagnie di conterranee. Sono loro a condurre, con petizioni e proteste, la lotta per l’equo canone. Malacucina è carissima e la tendenza alla clandestinità assai forte. Priori e Vescovi devono, dunque, intervenire più volte a proibire l’esercizio dell’arte fuori dal luogo deputato, a far redigere una lista ufficiale dei ruffiani e perfino a sfrattare, nel luglio del 1487, tutte le meretrici ed i ruffiani giunti nell’ultimo mese, per evitare che il sovraffollamento. Alla fine, nel 1492, sono costretti ad individuare un'altra zona a luci rosse, nel luogo chiamato “Le Volte de Pace”, un portico o loggiato in vicinanza delle mura etrusche, approssimativamente coincidente con la traversina di via Bontempi che conserva quel nome, ma che a quel tempo aveva una diversa configurazione. 
Segue, nel volumetto del Fabbretti, un documento del 1551. In assenza di documentazione si può congetturare che nei primi decenni del secolo, c’era stata una grande tolleranza, una liberalizzazione di fatto, ma, ora, per effetto della Controriforma e della più pressante presenza clericale nel governo della città, il clima politico-culturale è mutato. Il governatore della città, Fabio Mirto, vescovo di Gaiazzo, di Perugia e dell’Umbria emette un’ordinanza rivolta agli “officiali della onestà”, i monsignori Graziani e Paolucci, che contiene una premessa ideologica assai interessante:
Intendendo per querela di molti gentil’huomini et cittadini di questa città, che in diverse parti di essa, etiamdio più frequentate dalla nobiltà, et presso alle chiese et monasteri prencipali sono concorse ad habitare assai cortegiane et meretrici le quali, oltre che colli postribuli et dishonesta vita loro disonorano il s.mo Dio, danno ancora scandolo et malo esempio alle honeste Donne; et volendo pertanto provedere, che le cattive siano riconosciute per tali, et torre l’occasioni alle buone di voltarsi ad altra vita.
Sulla base di questi presupposti il Mirto ordina di delimitare rigidamente le zone d’esercizio della prostituzione, di spostare in esse d’autorità le prostitute, requisendo le case necessarie alla bisogna e risarcendo i proprietari e sistemando i locatari in altri quartieri cittadini, a spese del Comune. E’ una misura d’emergenza, tipica dei casi di calamità, ma in questa circostanza viene assunta all’unico modestissimo scopo di evitare il contatto delle prostitute con le persone perbene e specialmente con “la nobiltà”. L’ipocrisia del provvedimento è confermata da una testimonianza coeva del diarista perugino Vincenzo Fedeli, riportata dallo stesso Fabretti nelle sue Cronache di Perugia:
Adì di novembre del 1557 passò per la città di Perugia el cardinale Carafa, chiamato don Carlo, nepote carnale del papa Pavolo quarto; et alogiò una sera con monsignore de Gaiaze governatore; et era com seco el cardinale Vitello, el quale non fece bene nissuno a la nostra città; e dopo cena pubblicamente fece andare in palazzo tutte le putane, che se trovavano a Perugia, quale furono in tutte 14, e presene per sé una, et una per el cardinale Vitello; el resto accomodolle a la sua famiglia.
Chissà che non fosse questa la ragione vera ed irriferibile per cui il governatore aveva decretato il concentramento delle prostitute. 
Ma forse c’era anche un altro scopo, che possiamo arguire da un documento secentesco inserito dal Fabbretti in appendice, una petizione alla Sacra Consulta romana contro la Curia vescovile, firmata “da cento e più persone di ogni honorata condizione”. Il vescovo, del quale si denunciano le malefatte, Napoleone Comitoli, pur avendo fatto “pagare pene sino per accompagnare le processioni”, impedisce alle meretrici di entrare in chiesa a “sentire li divini ufficii”. 
La petizione esprime anche una garantistica rivendicazione contro  schedature che avrebbero marchiato indelebilmente le prostitute, chiede infatti
che le medesme meretrici non siano sforzate a farsi scrivere in Vescovato, non essendosi mai usata tale descriptione… et ad altro non servendo che per fargli pagare cinque bollini per ciascuna alli notari.
"micropolis" maggio 2001

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