6.2.10

Vivrai nel dolore (Ilaria Bonaccorsi - da Left 27 novembre 2009)

Sul numero 47 del 27 novembre 2009 di "Left-Avvenimenti" un'intera sezione intitolata E così sia è stata dedicata al peso del cattolicesimo romano nella legislazione, nella politica, nella vita quotidiana degl'italiani. Tra gli altri articoli quello di Ilaria Bonaccorsi che qui riproduco si occupa dei presupposti dottrinari dell'interventismo clericale. Il taglio è giornalistico-divulgativo e perciò il pezzo merita problemazizzazioni e approfondimenti, ma  mi pare tuttavia indicare le questioni fondamentali.


VIVRAI NEL DOLORE
Durante l’incontro con gli artisti del 21 novembre monsignor Ravasi, annunciando la presenza della Santa sede alla Biennale di Venezia 2011, ha dichiarato: «Vorrei rivolgermi a sette-otto artisti di altissimo livello e di tutto il mondo, a cominciare dall’Africa. E dare loro come spunto i primi undici capitoli della Genesi perché lì si trovano già tutti i temi fondamentali: la creazione, il male, la coppia, l’amore, la violenza familiare e sociale, la decreazione e la rovina...».
Il lupo, evidentemente, non perde né il pelo né il vizio. Il cristianesimo infatti, fin dalle origini, più che rivoluzionare la vita degli esseri umani, “presidiò” i momenti topici della loro vita: la nascita, la vita, l’amore, la malattia e la morte divennero “il pane” per i denti del cristianesimo. Vennero costruiti apparati simbolici, liturgici, rituali e agiografici. Fu cambiata persino la misurazione del tempo: dall’origine del mondo si passò alla natività del Cristo. Fu inventato un tempo “ante” e un tempo “post”. L’inizio, il cardine del tempo, divenne la nascita di Gesù: quel dio incarnato che era morto e risorto per noi esseri umani, tutti uguali perché tutti peccatori. E ogni cosa, valore, affetto subì un ribaltamento, una trasfigurazione: la fiducia divenne fede, la malattia divenne male, la morte divenne la vera vita, e così via.
Ripercorriamo i passaggi fondamentali.

La nascita
Il cristianesimo è la religione del peccato originale che rende, ancor prima di essere nati, “non umani”. La nascita infatti, sino alla somministrazione del rito del battesimo, per il cristiano è un fatto meramente biologico. Nasciamo tutti uguali, tutti peccatori, è il battesimo a renderci “umani”. Bene dice Ezechiele: «Vi prenderò di mezzo alle genti... Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli io vi purificherò; vi darò un cuore nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne». È il battesimo che regala l’anima all’uomo e che lo include nella comunitas christiana immettendolo in un preciso percorso di “redenzione”.

La vita
E' un dono di Dio. Solo lui te la dà, ed è “umana” solo se c’è l’anima nel corpo. Il problema quindi fu quello di capire se l’anima preesistesse al corpo o lo animasse successivamente. Vi fu un primo cristianesimo, ancora aristotelico, nel quale si teorizzava un’evoluzione progressiva dell’embrione, caratterizzata da un primo stadio vegetale, un secondo stadio legato al nascere delle sensazioni e uno finale, nel quale compariva l’anima razionale. Ancora sant’Agostino (354-430 d.C.) sosteneva l’animazione successiva al concepimento. Il soffio dell’anima entrava nell’embrione maschio al 40° giorno dalla fecondazione, e in quello femminile al 90°. E così San Tommaso (1225-1274 d.C.): «Dio introduce l’anima razionale solo quando il feto è un corpo già formato». Tre secoli dopo il vento girò, quando Thomas Fyens, medico e filosofo di Lovanio (1567-1631) negò la teoria aristotelica dei tre stadi sostenendo che l’anima razionale veniva infusa da Dio non oltre il terzo giorno dal concepimento. L’anima, dunque, preesisteva al corpo. Questa tesi portò a conseguenze estreme, come quella del 1658 di procedere al battesimo obbligatorio di tutti i feti abortivi, trasformati a quel punto in homines dubii. Il Sant’Uffizio con Innocenzo XI (1676) stabilì che il concepito doveva essere considerato “persona” fin dal primo momento. L’idea “cristiana”, da sempre e per sempre, di uomo e di vita è di un essere sub (o non) umano (non possiamo dire animale, perché gli animali non hanno il peccato originale), malvagio perché peccatore, salvato solo dalla discesa dell’anima, dono di Dio che lo rende umano.

L’amore
Forse il capitolo più doloroso, se pensiamo a cosa ha fatto il cristianesimo all’amore, alla sessualità, alle donne, osservatorio privilegiato dei crimini commessi dal cristianesimo. Le radici più profonde dell’ideologia dell’inferiorità della donna sono già nella Bibbia, con la storia della “costola”: Eva non è diversa, è parte dell’uomo. E, cosa ben più grave, è responsabile della cacciata dall’Eden, colpevole di quel “peccato originale” che divenne perno fondante del cristianesimo. La costruzione di una discriminazione/distruzione esercitata sulle donne passa, ancor prima che nei fatti, nello stesso lessico. In particolare nei Vangeli, quando si descrivono gli stati emotivi delle donne, il latino traduce in senso peggiorativo termini e verbi a loro riferiti. Ciò è dovuto al fatto che la percezione patristica della donna rispondeva ai criteri abitudinari della società classica e di quella giudaica: la donna era e rimaneva un essere inferiore, perché più lontana dal modello divino. Con Paolo di Tarso questa concezione venne portata all’estremo. Eva, e con lei tutto il femminile, diviene l’autentica ianua diaboli, la porta attraverso cui il male fa irruzione nel mondo. Non molto tempo fa Adriano Prosperi scriveva: «Il corpo della donna resta ancora per questa Chiesa un contenitore passivo di seme maschile, un condotto di nascite obbligatorie, segnato dal marchio biblico della maternità come sofferenza». La sessualità fu relegata alla sola “riproduzione biologica” e ingabbiata in un rigidissimo concetto di famiglia. E l’amore divenne, nel migliore dei casi, carità e assistenza. Quella dei preti buoni che accolgono e consolano.

La malattia
“La” novità del cristianesimo fu proprio la resurrezione. A partire da quella di Cristo. Con essa si superava il problema annoso della morte, o meglio, della paura della morte. Perché nel cristianesimo, unico caso, la resurrezione avviene nello spirito e nella carne. Una delle conseguenze più evidenti di questa novità fu quella di bloccare, per secoli, qualsiasi intervento medico sul corpo. Autopsie vietate, lo studio della medicina ostracizzato, il medico, i suoi obiettivi e le sue procedure (ottenere la guarigione con una serie ordinata di atti terapeutici) impediti. Il corpo per secoli non si toccò nel nome di una possibile resurrezione. Venne stravolta la concezione di malattia, trasformata in male, che non ha possibilità di cura. Il male viene da fuori, è una punizione, o meglio, è la “giusta correzione” di Dio. Il malato diviene un “esempio” per gli altri e la malattia/male, oltre a essere per tutti “un avvertimento dell’infermità umana” e della caducità del corpo, viene inserita in un percorso tutto religioso, non fatto di diagnosi e ricerca della cura ma di pentimento e redenzione. Viene teorizzata una vera e propria pedagogia della sofferenza: il malato deve divenire consapevole gestore della propria salvezza spirituale accettando in silenzio la malattia/male. «Se ami ciò che Dio fa, amerai anche la sferza della disciplina con cui Dio ti percuote. Sei stato colpito dal flagello di Dio? Sei travagliato dalla tosse? Ti manca il respiro? Lo stomaco rifiuta il cibo? Sei consumato dalla tisi? Sei straziato dalla dissenteria? Sei tormentato da ogni sorta di malattia? Bada: anche questi, se sei avveduto, sono doni di Dio. Non disprezzare figlio la correzione del padre. Non vi è figlio che il padre non castighi» (Agli Ebrei, 12.5). A tanta sofferenza il cristianesimo offrì un’unica grande consolazione/soluzione: il miracolo. E una schiera di esecutori: i martiri e i santi. Il fedele non poteva guarire ma poteva ricevere il “miracolo”, che divenne l’arma più forte del cristianesimo, la più spettacolare. I miracoli erano la manifestazione somma della misericordia e della potenza di Dio. «Io, il Signore, sono colui che ti guarisce» (Esodo, 15.26). E la vita, bisogna ricordarlo sempre, è sofferenza. Addirittura «la virtù si perfeziona nell’infermità» (Seconda lettera ai Corinzi, 12.9). Ancora oggi il cardinal Ruini candidamente afferma che: «Una cultura in cui il dolore non ha senso, la sofferenza viene negata, la morte emarginata, non può comprendere il cristianesimo. Che resta pur sempre la religione della croce».

La morte
La più forte delle idee del cristianesimo. Perché se la vita è un dono, lo è anche la morte. Dio ci regala la vita e ci regala la morte, che altro non è che la “porta” d’accesso alla vita “vera” del cristiano, quella nel Regno dei cieli. Pensate che sollievo davanti a povertà, epidemie, invasioni. Tanta morte e tanta paura della morte vengono battute da un’idea duplice: la resurrezione e il Regno dei cieli. E la creazione di un esercito di morti speciali, i santi, di cui si adorano e conservano i “corpi” morti, i cadaveri. Il morto “santo” è incorruttibile e profuma. Ed è proprio su questi “morti eccezionali”, come definisce Peter Brown i santi, che si edifica la Chiesa. Il primo martire del cristianesimo è proprio Gesù e sul suo esempio la Chiesa costruirà la sua armata di morti santi o santi morti. Di cui si trafugano i resti sacri, le reliquie e si festeggia l’anniversario della dipartita come loro dies natalis, giorno della nascita alla vera vita, la vita eterna. La morte dunque non è la fine di niente, tanto meno della vita. Anzi, per il cristiano è nascita a vera vita. E vale per tutti, perché per tutti “è aperto il Regno dei cieli”.

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