24.5.10

Bullismo. Ragazzi smarriti alle prese con la violenza del mondo. (di Marcella Bacigalupi, "Il manifesto" 20 aprile 2010)

Il 20 aprile scorso su “il manifesto” è apparso un lungo articolo di Marcella Bacigalupi che ha come titolo Enfants terribles e come sottotitolo Ragazzi smarriti alle prese con la violenza del mondo. E’ una riflessione in forma di recensione. Parte dall’analisi letteraria, pedagogica e storica di un libro recente di Badellino e Benincasa: Bulli di carta. La scuola della cattiveria in cento anni di storia; conclude ragionando dell’oggi. Per chi ha interessi storico- pedagogici. L’articolo è tutto da leggere e sulla rete si trova (per esempio in http://intelstoria3.altervista.org/wordpress/?p=4416 ). Qui riporto solo l’ultima parte, quella più attuale, che potrebbe innescare una discussione.

[...] Possiamo ritornare, così, a quel De Amicis che avevamo lasciato da parte: è la vicenda di Franti che tormenta il «povero Crossi» dal «braccio morto», Nelli il gobbino, e in genere se la piglia coi deboli. Ma Crossi alla fine reagisce, e Nelli è difeso dall’onesto e coraggioso Garrone. Quello di Cuore è un universo dove il male esiste ma ha di fronte il bene, tutti sanno qual è e alla fine trionfa.

Ci sono righe nella postfazione di Benincasa, che val la pena di riprendere: «Dopo il crollo delle ideologie i giovani non hanno più trovato luoghi dove esprimersi e non hanno più potuto usare il pronome noi a indicare la partecipazione a un gruppo ricco e variegato, fondato sull’esercizio del pensiero e del rispetto per l’altro. Non hanno trovato né la chiesa, né la scuola, né le sezioni di partito, né il posto di lavoro né la famiglia». Non so se questo giudizio possa essere in qualche misura circoscritto e relativizzato. Certo i valori condivisi sembrano essere pochi e i messaggi trasmessi assai contradditori. Ma c’è ancora qualche altro tassello da considerare.

In questi giorni nella cronaca dei giornali sono comparsi nuovi episodi di incontrollato comportamento giovanile: la condanna giudiziaria dei ragazzi di un istituto tecnico che praticavano a scuola il «gioco», non ignoto agli usi del «nonnismo», di lanciare in aria un compagno per raccoglierlo al volo: sfuggito alle braccia che ne intercettavano la caduta, uno era finito all’ospedale; l’attraversamento dell’autostrada da parte di ragazzini in cerca di prove «iniziatiche» di sfida alla morte; l’ennesimo caso di violenza perpetrata in un’aula scolastica, ai danni di una ragazza che tra gli ultimi banchi due o tre esemplari «del branco» pare tentassero di obbligare a una pratica sessuale; il professore, intento a interrogare, non si era accorto di nulla, o forse non aveva avuto il coraggio di accorgersene.


La paura della paura

Quel che importa notare sono i commenti, di due tipi. Dai genitori, proteste di innocenza fraintesa: «È una ragazzata, un gioco, sciocchezze di ragazzi, non drammatizziamo». Dagli «esperti», l’obbligo di esordire con una formula prefissata: «È orribile», «È terribile», impegno all’esecrazione dopo la quale soltanto è autorizzato il discorso. Visto che la disapprovazione potrebbe considerarsi scontata, la formula scaramantica e autoprotettiva è il segno della paura. Abbiamo paura dei ragazzi, e abbiamo paura del nostro averne paura. Alle domande sul bullismo e sull’aggressività giovanile non ci sono risposte pronte né facili soluzioni. Quello di cui dobbiamo forse prendere coscienza è che abbiamo smesso di «pensare» i giovani e il loro ruolo nel nostro mondo; è la radice della nostra incertezza, che ci impedisce di elaborare uno stile educativo credibile così come di progettare per loro un itinerario culturale convincente. Sono vuoti che non si colmano in breve tempo né con facili escamotages.

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