29.5.10

Le Parole di Walter Cremonte. Cooperazione. Fraternità. ("micropolis" - febbraio 2006)

Nel febbraio 2006 Walter Cremonte iniziò a pubblicare su "micropolis" dei brevi testi iscritti in una serie intitolata "Parole", come fossero voci di un piccolo dizionario. Mandò tre o quattro di queste sue preziose riflessioni: forse si era esaurita la vena, forse noi della redazione non lo sollecitavamo abbastanza. Spero che qualcuno le legga (o le rilegga) su questo blog e che gliene trasmetta l'apprezzamento, perché ripigli. Walter non usa la rete. Per scrivere da poeta adopera la penna e da prosatore la "lettera 32" dell'Olivetti. L'indirizzo, desunto dall'elenco telefonico, è: Walter Cremonte, via del Canerino 38 - 06100 Perugia. Comincio la pubblicazione da due parole che il nostro poeta esaminò in coppia: cooperazione e fraternità (S. L. L.).

C’è stato un tempo in cui “cooperative rosse” non era una parolaccia e anzi suonava come qualcosa di rassicurante. Quando ci fu l’occupazione della Facoltà di Lettere di Perugia, nel febbraio-marzo del 1968, una mattina (c’era appena stato un maldestro ma inquietante assalto notturno dei fascisti) trovammo nell’aula degli studenti, ben allineati sopra un tavolo, prodotti alimentari della Coop: pasta, pelati, salumi, formaggi…
Ben presto si sentì in quelle aule, in quei corridoi, un profumo di spaghetti al sugo, proprio quello che ci vuole per ridare serenità e fiducia nelle cose del mondo. Ed era un profumo che a qualcuno avrebbe potuto ricordare quello certo ancora più prezioso che nemmeno due anni prima aveva risollevato gente ben più provata, nei primi drammatici giorni dell’alluvione di Firenze: “Entra in azione il loro cuoco Federico, che provvede a riempire l’ambiente di un odore di pastasciutta al pomodoro da lunghi giorni ormai dimenticato” (Firenze perché, Il Mulino, 1966). La scena è la Casa del Popolo in Santa Croce, il “cuoco Federico” – praticamente un angelo - è il nostro compagno Federico Cipiciani, che è lì con la squadra della Provincia di Perugia a portare i primi decisivi soccorsi, nello sfascio generale dei poteri pubblici (con il presidente Leone tutto “impillaccherato”).
Le “cooperative rosse”, le “province rosse”: non erano il comunismo, ma erano un terreno sul quale sentivi di poter camminare; forse Pasolini avrebbe detto: “un paese pulito in un paese sporco”. Un po’ di tempo dopo, tutto questo non ci sarebbe stato più.
Un’altra parola da prendere con le molle è “fraternità”. Delle tre parole della Rivoluzione è la più sospetta, perché la meno storicamente incarnata e rimanda un po’ troppo a un’idea di utopia francescana, politicamente poco praticabile. L’ultima volta che si è sentito parlare concretamente di fraternità risale alla prima guerra mondiale e ora un film, appena uscito, ricorda proprio un episodio (uno dei pochi, ma qualcuno ce n’è stato) di fraternizzazione tra soldati nemici nella guerra di trincea: una bellissima voce di tenore intona Stille Nacht, heilige Nacht e i soldati decidono che per festeggiare il Natale si può lasciare il posto di combattimento e andare ad abbracciare i nemici. Interrompendo così, e dunque rovesciando, la logica della guerra: mostrando che c’è un’altra possibilità. A proposito in questi giorni dev’essere ancora in edicola, insieme a “Liberazione”, il volumetto delle Tesi di aprile (1917) di Lenin: la Tesi 1 si chiudeva con la parola d’ordine “Fraternizzare” come unica possibile risposta alla guerra imperialistica. Si potrebbe comprare questo libretto, costa appena due euro e novanta e molto probabilmente la vecchia edizione l’abbiamo persa chissà quando in fondo a un angolo lontano di qualche cantina o qualche soffitta.

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