Primo maggio 1890 in galleria, a Milano |
Stamani, per iniziativa
di Gisella Rossi, ho trovato su fb il link di un video in cui s’udiva
per intero l’inno di Turati, il canto Su fratelli e su compagne che
dalla nostra infanzia fa da colonna sonora al Primo Maggio, e immagino
che altri amici e compagni abbiano fatto in questo fatidico giorno la
stessa esperienza.
Chi l’ha postato su
youtube in quella non frequente versione integrale, invero piuttosto
lunga, ha voluto mettere le mani avanti, chiarendo che le parole
traboccano “di retorica e di positivismo”. Il chiarimento risulta
in parte inesatto, in parte non chiaro.
Non chiaro per il
riferimento alla “retorica”. L’inno trabocca certo di “figure
retoriche”, di parola e di pensiero, di anafore e metafore,
espressione di un gusto tardo ottocentesco che oggi non funziona più
e fa perfino ridere; ma il canto, la poesia rispondono sempre a una
retorica, a un’arte del dire e del persuadere, che modifica nella
storia le sue tecniche e le sue forme.
La filosofia positivista
invece non c’è, nemmeno come sfondo. Faceva di sicuro parte del
bagaglio culturale di Filippo Turati, ma nell’inno non c’è,
neppure nell’aspetto che ci si aspetterebbe di trovare, l’elogio
del progresso e l’immissione del riscatto operaio nella fiumana
dell’evoluzione economica e civile. C’è, semmai, tra le righe un
qualche riferimento al messaggio cristiano, in particolare a quel
Cristo che nell’Evangelo reclamava la “giusta mercede” per
l’operaio (“i signor per cui pugnammo ci han rubato il nostro
pane”) per lo scandalo della ricchezza esosa e crapulona
(“maledetto chi gavazza nell’ebbrezza e nei festini”),
ma c’è più forte ancora lo scandalo della fatica che distrugge la
vita e la salute di chi lavora (“La risaia e la miniera ci han
fiaccati ad ogni stento”), il sentimento vivido della
solidarietà di classe (“Se divisi siam canaglia stretti in
fascio siam potenti"), c’è l’obiettivo della
socializzazione dei mezzi di produzione (“Lo strumento del
lavoro nelle mani dei redenti”) con i suoi effetti di
pacificazione e di giustizia, c’è un internazionalismo che giunge
al rifiuto degli stati nazionali (“I confini scellerati
cancelliam dagli emisferi”), un antimilitarismo combattivo
(“Guerra al regno della guerra, morte al regno della morte”).
C’è insomma tutto
intero il socialismo ottocentesco, ragione e sentimento, programma e
valori, un corpo di convinzioni che si traduceva in laico apostolato
e che sotto molti aspetti accomunava i socialisti riformisti agli
anarchici e aveva la sua radice nello scandalo della miseria e delle
mostruose disuguaglianze.
Io ho da qualche tempo il sospetto che per chi voglia cambiare il mondo in meglio da lì occorra ripartire. Riferendosi a Turati, che è l'autore dell'inno, ma più ancora a Gori, Rapisardi, De Amicis, Benedetto Croce disse che il socialismo era stato “grande ispiratore di piccoli poeti”. Credo che sia, tutto sommato, vero, ma da quelle piccole poesie (come dai canti anonimi che accompagnarono la nascita e lo sviluppo del movimento operaio e contadino) si continua a ricavare una grande lezione di moralità. Chi ne cercasse conferma si procuri l’antologia Poeti della rivolta che per la Bur compilò qualche decennio fa Pier Carlo Masini. (S.L.L.)
Io ho da qualche tempo il sospetto che per chi voglia cambiare il mondo in meglio da lì occorra ripartire. Riferendosi a Turati, che è l'autore dell'inno, ma più ancora a Gori, Rapisardi, De Amicis, Benedetto Croce disse che il socialismo era stato “grande ispiratore di piccoli poeti”. Credo che sia, tutto sommato, vero, ma da quelle piccole poesie (come dai canti anonimi che accompagnarono la nascita e lo sviluppo del movimento operaio e contadino) si continua a ricavare una grande lezione di moralità. Chi ne cercasse conferma si procuri l’antologia Poeti della rivolta che per la Bur compilò qualche decennio fa Pier Carlo Masini. (S.L.L.)
Filippo Turati |
Su fratelli, su compagne,
su, venite in fitta schiera:
sulla libera bandiera
splende il sol dell'avvenir.
Nelle pene e nell'insulto
ci stringemmo in mutuo patto,
la gran causa del riscatto
niun di noi vorrà tradir.
Ritornello
Il riscatto del lavoro
Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
noi vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
o pugnando si morrà.
O vivremo del lavoro
o pugnando si morrà.
La risaia e la miniera
ci han fiaccati ad ogni stento
come i bruti d'un armento
siam sfruttati dai signor.
I signor per cui pugnammo
I signor per cui pugnammo
ci han rubato il nostro pane,
ci han promessa una dimane:
la dima si aspetta ancor.
Ritornello
Il riscatto del lavoro ecc.
Il riscatto del lavoro ecc.
L'esecrato capitale
nelle macchine ci schiaccia,
l'altrui solco queste braccia
son dannate a fecondar.
nelle mani dei redenti
spenga gli odii e fra le genti
chiami il dritto a trionfar.
Ritornello
Il riscatto del lavoro ecc.
Il riscatto del lavoro ecc.
Se divisi siam canaglia,
stretti in fascio siam potenti;
sono il nerbo delle genti
quei che han braccio e che han cor.
noi disfar, rifar possiamo;
la consegna sia: sorgiamo
troppo lungo fu il dolor.
Ritornello
Il riscatto del lavoro ecc.
Il riscatto del lavoro ecc.
Maledetto chi gavazza
nell'ebbrezza dei festini,
fin che i giorni un uom trascini
senza pane e senza amor.
dello scempio dei fratelli,
chi di pace ne favelli
sotto il pié dell'oppressor.
Ritornello
Il riscatto del lavoro ecc.
I confini scellerati
cancelliam dagli emisferi;
i nemici, gli stranieri
non son lungi ma son qui.
morte al regno della morte;
contro il dritto del del più forte,
forza amici, è giunto il dì.
Ritornello
Il riscatto del lavoro ecc.
Il riscatto del lavoro ecc.
O sorelle di fatica
o consorti negli affanni
che ai negrieri, che ai tiranni
deste il sangue e la beltà.
mai non splenda il vostro riso:
un esercito diviso
la vittoria non corrà.
Ritornello
Il riscatto del lavoro ecc.
Se eguaglianza non è frode,
fratellanza un'ironia,
se pugnar non fu follia
per la santa libertà;
tutti i poveri son servi:
cogli ignavi e coi protervi
il transigere è viltà.
Ritornello
Il riscatto del lavoro ecc.
Il riscatto del lavoro ecc.
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Nota storica
A Milano il 28 marzo del 1886 il Partito operaio italiano organizzò una grande festa proletaria per inaugurare la bandiera della Lega mista dei figli del lavoro della città, cui aderivano operai di tutte le categorie e artigiani le cui misere condizioni non si discostavano molto da quelle dei lavoratori sotto padrone (arrotini, concia piatti, tipografi etc.). Il partito era stato fondato da Enrico Bignami e Osvaldo Gnocchi Viani un decennio prima e, nonostante il nome, era attivo soltanto a Milano e in Lombardia. Ad esso potevano iscriversi solo i lavoratori manuali, gli intellettuali dovevano accontentarsi di simpatizzare. Un simpatizzante era pertanto allora l’avvocato Turati, che aveva un passato di poeta scapigliato. Il Comitato Centrale del partito operaio, desiderando che per la festa del 28 marzo fosse eseguito un nuovo inno, composto per l’occasione dal maestro Amintore Galli, ne affidò a lui la stesura del testo. Il titolo originale era Il canto dei lavoratori,inno del Partito operaio italiano. La diffusione fu rapida anche per l’orecchiabilità della musica: il testo era stampato sui caratteristici “fogli volanti” e veniva eseguito in tutte le occasioni di incontro e di lotta dei lavoratori, in particolare per il primo maggio, nonostante le ripetute proibizioni dell’autorità. Il successo favorì anche la fabbricazione di parodie. La più celebre Su ministri, segretari, di Guido Podrecca efficacemente stigmatizzava i ladroni del governo. Volendo, ne ritrovate il testo in questo blog.
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