Dopo l’uscita di scena di Scajola e la scoperta che le indagini sulla cricca lambivano, a metà maggio, uomini del suo dicastero e più ampiamente coinvolgevano uomini della sua parte, sembrò che nelle scelte comunicative e politiche di Berlusconi ci fosse una svolta. Parlò lui stesso di “severità di giudizio nei confronti di chi ha sbagliato” e chiamò Alfano cantando: “Angiolino, bell’Angiolino”. Gli disse di presentare in quattro e quattr’otto un disegno di legge anticorruzione. Non mancò qualche terzista che lo prese sul serio, Marcello Sorgi per esempio, già direttore del Tg1, che oggi scrive su “La Stampa” e “Il Sole – 24 ore”. Gli attribuì l’intenzione di attendere le conclusioni dell’inchiesta Anemone, quando il campo dell’attenzione magistratuale si fosse ristretto a pochi nomi, per poi “procedere con metodo chirurgico, allontanando gli inquisiti”. E’ bastato poco più di un mese per mostrare con grande evidenza come tutto ciò non sia possibile: è bastata la nomina di un ministro, Brancher, dalle attribuzioni incerte ma dal rinvio a giudizio sicuro, in quanto già avvenuto. Naturalmente il Brancher non ha seguito i consigli dei “beneducati” di attendere un po’ per utilizzare il “legittimo impedimento” e lo farà finché non avrà ottenuto l’agognata prescrizione di cui il presidente Berlusconi è emblema vivente. Ora Battista del Corsera, di questi tempi assai critico con il governo, si lamenta, ma a un osservatore politico scafato non può sfuggire come ci sia una profonda coerenza tra la storia del Cavaliere e il fatto che ironicamente denuncia (un “ministro al legittimo impedimento”). Berlusconi non può e non vuole turbare una parte significativa dell’elettorato che lo sostiene e lo fa votare. Lui tutti i possidenti indagati, rinviati a giudizio, processati, politici o imprenditori, finanzieri o professionisti, innocenti o colpevoli che siano, li vuole difendere e preservare. E’ il presidente degli impuniti.
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