In uno degli ultimi libri
di Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, c’è una
sorta di ricognizione a tutto campo nella storia politica e religiosa
del Vecchio e del Nuovo mondo, che va dagli antichi Romani ai
boy-scouts, da Gandhi ai san Francesco. Il pensatore perugino
racconta i casi in cui tecniche nonviolente furono efficacemente
usate, spaziando nel tempo e nello spazio, e il suo procedere, sempre
documentatissimo, non ha quasi mai trattatistica pesantezza, ma
acquista sovente aneddotica sapidità. E’ dal suo libro che
trascrivo il brano che segue, di Giovanni Pioli, sui rapporti tra
Quaccheri e Indiani d’America (S.L.L.).
George Fox, predicatore
inglese nato nel 1624 e fondatore dei Quaccheri, formulò per essi la
cosiddetta “dottrina degli amici” articolata in tre punti: 1)
amarsi gli uni gli altri. 2) Amare i propri nemici. 3) Non usare mai
le armi e non difendersi mai dalle aggressioni.
Benché non s’ispirasse
che alle parole dell’Evangelo, la dottrina fu duramente avversata
sia dallo Stato che dalla Chiesa Anglicana.
Fox e molti suoi seguaci
vennero imprigionati e condannati a grosse ammende. Tutti quanti si
rifiutavano di pagarle. Dicevano d’essere pronti a passar tutta la
vita in carcere piuttosto che versare denari ai violenti.
Dinanzi alla loro
resistenza, e dinanzi al loro gran numero, le autorità dovettero
cedere. Nel 1696 una legge riconobbe il loro diritto di non prestar
giuramento di fedeltà al re.
Il più illustre
discepolo di Fox fu William Penn. Figlio d’un ricchissimo
ammiraglio col quale il re aveva un debito, alla morte del padre
propose al sovrano di condonargli il debito se gli avesse ceduto una
parte dell’America del Nord per andarci a vivere con alcuni
Quaccheri e attuare lì l’ideale della nonviolenza.
Raggiunto l’accordo col
re, nel 1673 partì con cento Quaccheri per l’America. Giunsero
nell’attuale Pennsylvania e presero contatto con le popolazioni
locali. Ad esse, intimorite, Penn dichiarò che erano disarmati e che
non avevano intenzione di prender le loro terre, ma solo di
acquistare quelle che avrebbero voluto vendere.
Fu così che i cento
esuli pagarono due volte i loro possedimenti: al re e agli indiani. E
nel pagarle a questi ultimi furono assai generosi. L’acquisto dei
termini avveniva allora in largo e in lungo la superficie in
trattazione e, in base alle giornate occorse, si calcolava il prezzo.
L’acquirente aveva quindi tutti l’interesse a camminare svelto.
Temendo di commettere ingiustizie, William Penn fece questa singolare
misurazione camminando lentamente, fumando, chiacchierando e
fermandosi spesso.
Le relazioni che i nuovi
venuti stabilirono con gl’indigeni erano improntate all’assoluto
rispetto del loro modo di vivere, delle loro tradizioni e delle loro
credenze religiose, senza discriminazioni né alcuno sfruttamento
palese od occulto. “Il Grande Spirito, padre di tutti gli uomini,
vuole che bianchi ed indigeni vivano insieme, e non solo come
fratelli, ma come se avessero un’unica testa, un unico cuore e un
unico corpo”. In quel trattato Penn, mentre s’impegnava per sé e
per i compagni a non usare mai le armi, chiedeva agl’indigeni che
anch’essi convenissero su questi tre punti: nessun padrone e
nessuno schiavo, nessuna divisione in classi, nessuna lotta di
religione.
da Per l’abolizione
della guerra, ora in Aldo Capitini, Le tecniche della
nonviolenza, Feltrinelli, 1977
Ciao, posso riportarlo su www.ecumenici.eu?
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Maurizio
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