2.6.10

Quando il grottesco rafforza il potere (di Michel Foucault)

Questo brano, pubblicato in volume per la prima volta nel 1999, fa parte del corso tenuto al College de France nel 1974-75, dedicato agli "anormaux". L'ultima edizione italiana di Feltrinelli (2009), con la cura e la traduzione di Marchetti e Salomoni, ha come titolo, appunto, Gli anormali.

Chiamerò “grottesco” un discorso o un individuo che detengono per statuto degli effetti di potere di cui, per la loro qualità intrinseca, dovrebbero essere privati…

Il grottesco o, se preferite, l’“ubuesco”[1], non è semplicemente un epiteto ingiurioso. Non è comunque come tale che io vorrei usarlo. Ritengo, anzi, che si dovrebbe formare una categoria dell’analisi storico-politica che tratti del grottesco o dell’ubuesco. Il terrore ubuesco, la sovranità grottesca, oppure, in termini più austeri, la massimizzazione degli effetti di potere a partire dalla qualificazione di colui che li produce: tutto questo, io credo, non è accidentale nella storia del potere, non è una disfunzione del suo meccanismo. Mi sembra, al contrario, che sia uno degli ingranaggi che fanno parte integrante dei meccanismi di potere. Il potere politico – per lo meno in alcune società, e comunque nella nostra – può darsi, anzi si è effettivamente dato la possibilità di far trasmettere i suoi effetti, e, ancor più, di trovarne l’origine in un recesso che è manifestamente, esplicitamente, volontariamente squalificato dall’odioso, dall’infame o dal ridicolo. Dopo tutto, questa meccanica grottesca del potere, o questo ingranaggio del grottesco nella meccanica del potere, è molto antico nelle strutture e nel funzionamento politico delle nostre società. Ne abbiamo esempi chiarissimi soprattutto nella storia dell’impero romano, dove la qualificazione quasi teatrale del punto di origine, del punto di aggancio di tutti gli effetti del potere nella persona dell’imperatore, fu se non proprio un modo di governare, per lo meno un modo di dominare: una qualificazione che fa sì che colui il quale è detentore della maiestas, cioè del di più di potere rispetto a qualsiasi altro potere, è allo stesso tempo, nella sua persona, nella sua realtà fisica, nel suo abito, nel suo gesto, nel suo corpo, nella sua sessualità, nel suo modo di essere, un personaggio infame, grottesco, ridicolo.

L’ingranaggio del potere grottesco, della sovranità infame, è stato messo in opera perennemente nel funzionamento dell’impero romano: da Nerone a Eliogabalo.

Il grottesco è uno dei procedimenti essenziali della sovranità arbitraria. Ma il grottesco è anche un procedimento inerente alla burocrazia applicata. Che la macchina amministrativa, con i suoi insormontabili effetti di potere, passi attraverso un funzionario mediocre, nullo, imbecille, superficiale, ridicolo, consunto, povero, impotente, tutto ciò è stato uno degli elementi essenziali delle burocrazie occidentali a partire dal XIX secolo. Il grottesco amministrativo non è stato semplicemente la percezione visionaria dell’amministrazione che hanno potuto avere Balzac, Dostoevskij, Courteline o Kafka. Il grottesco amministrativo è una possibilità che la burocrazia si è realmente data. Ubu “rond de cuir” appartiene al funzionamento dell’amministrazione moderna, come spettava al funzionamento del potere imperiale a Roma essere nelle mani di un istrione folle. E quello che dico dell’impero romano, ciò che dico della burocrazia moderna, si potrebbe dire di molte altre forme meccaniche di potere, nel nazismo o nel fascismo. Il grottesco di uno come Mussolini era di per sé iscritto nella meccanica del potere. Il potere si dava l’immagine di essere generato da qualcuno teatralmente travestito, disegnato come un clown, come un buffone.Mi sembra che vi siano qui, dalla sovranità infame sino all’autorità ridicola, tutte le gradazioni di ciò che si potrebbe chiamare l’indegnità del potere.

Sappiamo che gli etnologi – penso in particolare alle belle analisi che Clastres ha appena pubblicato – hanno individuato il fenomeno che fa sì che colui al quale si dà un potere sia, allo stesso tempo, attraverso un certo numero di riti e di cerimonie, ridicolizzato o reso abietto, oppure venga mostrato sotto una luce sfavorevole. Si tratta, nelle società arcaiche o primitive, di un rituale per limitare gli effetti del potere? Forse. Ma direi che, se sono davvero ancora questi i rituali che si ritrovano nella nostra società, essi hanno una funzione del tutto diversa. Mostrando pubblicamente il potere come abietto, infame, ubuesco o semplicemente ridicolo non se ne limitano gli effetti. Né viene detronizzato, con un atto magico, colui al quale si dà la corona. Si tratta, al contrario, di manifestare in modo evidente l’insormontabilità e l’inevitabilità del potere, che può per l’appunto funzionare in tutto il suo rigore, e al limite estremo della sua razionalità violenta, anche allorquando è nelle mani di qualcuno realmente squalificato. Il problema dell’infamia della sovranità e del sovrano squalificato, in fin dei conti, è il problema di Shakespeare. Tutta la serie delle tragedie dei re pone proprio questo problema, senza che mai, mi sembra, si sia fatta la teoria dell’infamia del sovrano. Ma, ancora una volta, nella nostra società, a partire da Nerone – che è forse la prima grande figura iniziatrice del sovrano infame – sino al piccolo uomo dalle mani tremanti che, nel fondo del suo bunker, coronato da quaranta milioni di morti, domandava solo due cose (che tutto il resto al di sopra di lui venisse distrutto e che gli si portassero, fino a creparne, dei dolci al cioccolato), c’è uno smisurato funzionamento del sovrano infame.



[1] L’aggettivo “ubuesco” è stato introdotto nel 1922, a partire dal lavoro teatrale di Alfred Jarry, Ubu roi, Paris 1896. Vedi Grand Larousse, VII, 1978, p. 6319: “Si dice di ciò che, per il suo carattere grottesco, assurdo o caricaturale, ricorda il personaggio di Ubu”; Le Grand Robert, IX, 1985, p. 573: “Che rassomiglia al personaggio di Ubu re (per un carattere comicamente crudele, cinico e codardo, con eccesso).

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