11.7.10

Dopo la Rivoluzione Francese. Spedalieri e Tamburini: due libri italiani su religione e politica.


E’ in un clima di contrapposizione frontale tra Chiesa e Rivoluzione che, nel 1791, è pubblicato l'ampio trattato di Nicola Spedalieri dal titolo emblematico Dei diritti dell’uomo e dal sottotitolo esplicito Sei libri nei quali si dimostra che il custode più sicuro di questi diritti nella società civile è la religione cristiana. Il testo presenta come indicazione di stampa Assisi, ma gli studiosi lo ritengono pubblicato a Roma con l'incoraggiamento di una parte della Curia e dello stesso Papa Pio VI, grande estimatore dell'autore.

Il prelato Spedalieri, filosofo, matematico e teologo, era nato in Sicilia, a Bronte, nel 1740, ma viveva a Roma dal 1773, ove divenne membro autorevole dell’Arcadia e svolse diversi incarichi nell’organizzazione ecclesiastica. Aveva pubblicato nel 1784 un’opera violentemente antilluministica ed antigiansenistica dal titolo Confutazione dell’esame del Cristianesimo fatto dal signor E. Gibbon. Nel libretto, in apparenza una replica allo storico inglese che aveva posto il Cristianesimo alle origini della decadenza dell’Impero romano, Spedalieri aveva manifestato riserve sull’assolutismo monarchico. In un tempo in cui il riformismo di impianto illuministico di alcuni sovrani europei si dimostrava ancora vitale, era del resto facile che la polemica curiale trascendesse le persone dei re e cominciasse ad investire la monarchia come istituzione.

Il libro del 1791 sui diritti dell’uomo, assai più famoso, presenta un fascino ambiguo. L’autore infatti tratta del potere politico, del contratto sociale, dei diritti naturali, incluso il diritto di resistenza all’oppressione, con una spregiudicatezza che destò scandalo negli ambienti ecclesiastici e gli valse, dopo la morte, nel 1795, le simpatie di alcuni democratici giacobini. Lo Spedalieri riconosce come diritti individuali ed inviolabili dell’uomo molti di quelli codificati dalla Rivoluzione Francese ed accoglie il principio della sovranità popolare. Le dinastie regnanti vengono legittimate con la tesi di una sovranità concessa permanentemente dal popolo e tuttavia revocabile, anche attraverso l’insurrezione, nei casi di forte ed evidente violazione dei diritti umani. L’impianto dell’opera resta comunque fortemente antilluministico: vi si sostiene che agli uomini dalla “filosofia” possono venire soltanto dei mali, e che la radice dei diritti sta nella Fede, mentre la sua garanzia risiede solo nella Chiesa cattolica e nelle sue istituzioni gerarchiche. Tutto ciò spiega la varietà delle interpretazioni a cui il libro è stato sottoposto, da quella, prevalente, che si tratti di un’opera reazionaria a quella che vi vede un progetto di conciliazione tra Chiesa cattolica e democrazia che avrebbe avuto nei secoli successivi un grande sviluppo.

L’ambiguità del libro, dal punto di vista della interpretazione storica, è data dal fatto che può essere letto come un estremo tentativo di pace tra il Vaticano e la Rivoluzione, ma anche come un messaggio ultimativo rivolto ai regnanti d’Europa perché abbandonino definitivamente le politiche riformistiche e tolgono il sostegno fino ad allora concesso al giansenismo. Il libro contiene infatti accuse esplicite, seppure contraddittorie, nei confronti dei giansenisti. Vengono accusati di regalismo, cioè di servilismo nei confronti dell’autorità monarchica, ma anche di ipocrisia poiché si fingerebbero amici dei sovrani per scardinarne il potere. La proposta politica del libro sembra essere la ricostituzione dell’alleanza trono-altare, con il primo subordinato al secondo, o, in alternativa, la fusione in chiave ideologico-culturale tra teocrazia e democrazia.

Entrambe le ipotesi allarmavano gli ambienti giansenistici fedeli all’assolutismo illuminato, al punto che il più prestigioso esponente di questa tendenza, Pietro Tamburini, professore dell’Università di Pavia, sentì l’esigenza di rispondere allo Spedalieri con le Lettere teologico-politiche sulla presente situazione delle cose ecclesiastiche uscite anonime proprio a Pavia nel 1794. Il libro riafferma l’origine divina e non popolare del potere civile dei principi, e condanna pertanto la sovranità popolare sostenuta dallo Spedalieri, come ogni concezione della sovranità fondata su patti e convenzioni “sognate dagli uomini”, attacca la teoria dei diritti naturali dell’uomo e dei diritti del cittadino originati dal contratto sociale, considerati in contrasto con la dottrina cristiana. Anche l’opera del Tamburini è suscettibile di una doppia lettura: può essere interpretata come un messaggio ai principi perché riprendano le riforme per impedire le rivoluzioni, o anche come un tentativo di impedire la diaspora dei giansenisti, riproponendo la collaborazione con i sovrani, in un momento in cui non pochi di loro, sacerdoti e laici, stanno scegliendo di schierarsi con la rivoluzione e la repubblica. Probabilmente contiene entrambe le intenzioni.

In ogni caso gli scritti dello Spedalieri e del Tamburini sono emblematici di una fase di passaggio ed entrambi testimoniano come la Rivoluzione Francese contribuisse a ridefinire le convinzioni e gli orientamenti culturali e religiose e come questa trasformazione avvenga spesso sulla tematica specifica dei diritti e dei poteri umani e civili.

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