La crisi italiana si avvita su se stessa. Il conflitto tra la destra legalitaria e unitaria e il resto della coalizione di governo è stato plasticamente evidenziato nel confronto tra il ministro Bondi e il presidente della Camera Fini, in occasione della presentazione della “Rivista di politica”. Alla richiesta di una disciplina a prescindere, di un atto anche simbolico di sottomissione, corrispondeva sull’altro versante una puntigliosa sottolineatura di tutte le ragioni di dissenso. Resta tuttavia poco credibile il racconto berlusconico di un Fini inacidito e passato a sinistra che i giornali della destra rilanciano quasi ogni giorno, con slogan come Fini falla finita o compagno Fini.
A dare il segno politico della settimana è stato anche un altro evento, meno evidenziato dalla stampa. Nel Consiglio dei Ministri cui Bossi ha relazionato e che, in assenza del Cavaliere, Tremonti ha presieduto sono state approvate le linee di contabilità finanziaria che saranno alla base del cosiddetto “federalismo fiscale”. E’ un documento complesso e che lascia aperte diverse soluzioni, ma il suo segno “nordista” è stato sottolineato da un attacco senza precedenti di Tremonti e Bossi alle classi dirigenti meridionali che, com’è noto, non sono tutte ascrivibili al centrosinistra. L’operazione, fin qui non riuscita, è di separare fin da subito, nell’opposizione alla manovra le regioni del Nord da quelle del Centro-Sud. Tutto ciò, negli imprevedibili sviluppi della crisi finanziaria ed economica che attraversa l’Europa, rende meno improbabili le ipotesi secessionistiche.
Intanto Berlusconi annuncia ed inizia la sua campagna mediatica: obiettivi dichiarati l’ingrato Fini, lo strapotere di Napolitano e le intercettazioni che “ci controllano tutti”. Non è affatto una follia. Il suo corpaccione elettorale è con lui e teme tutti i controlli di legalità specie in un tempo ove si avvicina la resa dei conti e in cui tutti gli evasori del fisco, gli utilizzatori di lavoro nero non domestico, i corporati delle grosse professioni etc., dovranno dar ragione dei patrimoni accumulati negli stessi quindici anni in cui si impoveriva il lavoro. Ne vedremo delle belle.
Si dice intanto che i cosiddetti “poteri forti” vorrebbero liberarsi del Cavaliere e del suo inefficace governo, ma di sicuro non sanno come fare. Intanto la sinistra parlamentare che ha lasciato soli i lavoratori della Fiat di Pomigliano e cerca di tessere dialoghi con Fini, Casini etc., non contando praticamente nulla, si affida al presidente Napolitano e, tramite Letta, gli chiede di lavorare per un nuovo governo, visto che “Berlusconi ha fallito”.
Il marasma insomma è totale e all’orizzonte non appare niente di buono.
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