Ieri sera al Tg era Cesare Damiano, ex sindacalista Cgil ed ex ministro del Lavoro, a fare per il Pd, di cui è autorevole esponente, la rituale dichiarazione sulla situazione politica. Oggetto del suo dichiarare era la tensione Fini-Berlusconi e il documento ultimatum in quattro o cinque punti predisposto dal Cavaliere per mettere in riga i dissenzienti.
Damiano ha detto nel complesso cose sensate: che la maggioranza è in crisi, che il governo della situazione economica è tra i peggiori, che è scandaloso un documento che parli di processo breve e non di lavoro e welfare. Ha concluso che bisogna cambiare governo e politiche perché la crisi continua e, secondo la Confindustria, ci saranno in autunno 400 mila nuovi disoccupati.
Per avallare la cifra Damiano avrebbe potuto citare le previsioni dei centri studi dei sindacati, peraltro non molto dissimili da quelle degli industriali, o quelle di organizzazioni e gruppi di ricerca indipendenti, anche più allarmate. E invece no: ha citato solo Confindustria, la principale organizzazione padronale. Ipsa dixit: se lo dice Confindustria l’autorevolezza è totale, assoluta, indiscutibile. Poco importa se la confederazione guidata dalla Marcegaglia gli allarmi se li gioca generalmente per obiettivi tutti suoi. E cioè da una parte sottrarre diritti e salario ai lavoratori, abolendo i contratti nazionali e distruggendo le tutele giuridiche ed economiche, dall’altra ottenere provvidenze per ristrutturazioni che quasi mai favoriscono il mantenimento e l’incremento dell’occupazione.
La dichiarazione di Damiano è naturalmente un piccolo evento di scarsa importanza, ma segnala un problema enorme: l’asservimento pressoché totale della principale forza del centrosinistra all’ideologia dell’impresa e del profitto, cui si subordinano i bisogni e le aspettative dei lavoratori. Quella che l’esponente piddino implicitamente proclama è una maggiore affidabilità del suo partito per il mondo confindustriale e imprenditoriale rispetto alla stessa destra al governo. Se in questo modo si schiera il Pd, non ci può essere poi ragione di meraviglia quando Berlusconi e Brunetta mirano a togliere dal dettato costituzionale ogni riferimento al primato del lavoro e pretendono di sostituirlo con la centralità dell’impresa.
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