Mi è già accaduto di citare una curiosa espressione diffusa nella Sicilia meridionale, “Pigliari primu comu li bagasci”. La frase attribuisce alle prostitute la capacità di rintuzzare le meritate aggressioni verbali, attaccando sfrontatamente per prime. Nell’Italia politica di oggi aduso a “pigliari primu” è certamente Berlusconi, che si giova di molte bagasce pronte a spalleggiarlo e tuttavia ho il sospetto che tra i politici viventi ce ne sia uno che nel “prendere prima” sia addirittura più esperto di Berlusconi.
Si tratta di Cossiga, ex ministro degli Interni, ex presidente del Consiglio, ex presidente del Senato, ex presidente della Repubblica, ex picconatore, ex difensore di “Gladio”, amico storico dei piduisti, eccetera eccetera. L’anziano politico sardo, ormai da molto tempo, per non farsi mettere sotto accusa in conseguenza delle sue responsabilità personali è sempre pronto alle peggiori provocazioni. Racconterò in una prossima occasione di altre sue “uscite”. Qui importa rammentare che, quarant’anni fa, c’era in Italia un esecutivo da lui guidato quando si registrarono le due più sanguinose stragi degli anni di piombo: il 27 giugno l’abbattimento di un aereo di linea nel cielo di Ustica (81 morti) e il 2 agosto la strage alla stazione di Bologna (85 morti).
Dopo l’uccisione di Aldo Moro Cossiga, che aveva retto il Ministero degli Interni popolandolo di piduisti, aveva ritenuto conveniente dimettersi; dopo le carneficine del 1980 provò a rimanere in sella finché in ottobre non lo travolse una delle ricorrenti crisi di governo.
In occasione delle catastrofi e nei mesi successivi aveva detto più niente che poco: le solite frasi di circostanza, solidarietà e promesse di fare piena luce. Poi, a tozzi e bocconi, da quando, sul finire degli anni 80, si assunse il ruolo di difensore dell’organizzazione segreta “Gladio” e di “picconatore” della Prima Repubblica, cominciò a mettere in giro altre “verità”. Da qualche anno, cioè da quando non è più in nessuna forma incriminabile, aggiunge particolari e va dicendo di aver appreso queste sue verità nell’immediatezza dei fatti, cosa che ribadisce nel suo ultimo libro dal titolo un po’ ridicolo, oltre che volgarotto, specie se scritto da un politicante del suo rango: Fotti il potere.
Su Ustica la sua tesi è quella che ad abbattere il velivolo fu un missile lanciato da un caccia francese che cacciava Gheddafi in volo per il Mediterraneo. E’ una ipotesi che ritengo verosimile e che ha da parecchio non pochi sostenitori, benché le prove siano state sistematicamente cancellate e non sia probabile che lo Stato francese, così attento alla sua continuità, riveli la verità. Ma a Cossiga era altro che si chiedeva. Com’è possibile che nei giorni successivi all’esplosione siano tranquillamente spariti tutti i tracciati radar? I cieli italiani erano vigilati o no? E il capo del governo di allora come si mosse per abbattere quello che da subito apparve un “muro di gomma”, che coinvolgeva gli Stati maggiori dell’aeronautica e delle intere forze armate, le forze di polizia, i servizi di sicurezza? Di fronte a domande di questo tipo Cossiga, per l’appunto, piglia primu: alza il tiro e parla d’altro.
Ancora più sfrontato appare l’ex capo dello Stato sulla strage di Bologna, e non da adesso. Agli inizi degli anni 90, quando cadde una delle “piste nere” che gli inquirenti seguivano, propose, insieme ad esponenti del Msi, di cancellare il termine “fascista” dalla lapide che alla stazione ferroviaria del capoluogo emiliano ricorda l’orribile strazio di quel giorno d’estate. E da allora cominciò a raccontare la storia dell’incauto terrorista palestinese che girava l’Italia con il suo tritolo potenziato e che sarebbe stato l’involontario artefice della strage per la sua imperizia. Alla base dell’accaduto sarebbe stato il cosiddetto “lodo Moro”, un accordo che Moro, tramite i servizi segreti da lui ispirati, avrebbe raggiunto con i movimenti della resistenza palestinese, i quali evitavano di colpire in Italia i propri bersagli, israeliani e non solo, ma ottenevano nella penisola libertà di movimento.
Altri, partendo dalle rivelazioni di Cossiga, hanno parlato di un tedesco, un affiliato al Fronte popolare di liberazione della Palestina di cui sarebbe stata accertata la presenza a Bologna nei giorni della strage e che sarebbe tuttora vivente. Intanto il processo per la strage aveva raggiunto, attraverso i diversi gradi di giudizio, la sua definitiva conclusione ed, unico tra i processi per strage, aveva individuato e condannato dei responsabili: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini. I primi due hanno già scontato una lunga pena e sono oggi liberi; il terzo, incarcerato dopo un lungo periodo di latitanza, è tuttora in prigione. I tre facevano parte di un gruppo terroristico dell’estrema destra, i Nar, e sono, per loro stessa ammissione, responsabili di un certo numero di omicidi, soprattutto tra le forze dell’ordine, di rapine, di attentati contro sedi della sinistra, ma, soprattutto Mambro e Fioravanti, che possono farlo in condizioni di libertà, continuano a negare qualsiasi loro partecipazione alla strage della stazione bolognese. Non c’è da meravigliarsi che ammettano gli altri numerosi crimini (tali da giustificare ampiamente la pena scontata) e che invece neghino la paternità di un delitto così efferato, insensato ed odioso. E non c’è da meravigliarsi che anche gli eredi politici del Msi, nelle cui sezioni Mambro e Fioravanti si conobbero e mossero i primi passi terroristici, ne cerchino tuttora la riabilitazione. Lacune nella ricostruzione dei fatti e nella sentenza, del resto, sono state riscontrate anche da altre parti e tutto ciò, collegato all’oscurità del progetto terroristico e alla mancata individuazione di mandanti certi della strage, ha portato anche figure della sinistra, come Rossana Rossanda, a battersi per la riabilitazione da questo delitto (e solo da questo) di Mambro e Fioravanti.
Sul finire di luglio, nell’imminenza del trentesimo anniversario della strage di Bologna, la deputata Pdl Barbara Saltamartini, di provenienza missina e da sempre impegnata sul fronte innocentista, ha organizzato un dibattito sugli eventi dell’80 che parte da un libro recente, un libro-intervista del giornalista Giovanni Fasanella al giudice Rosario Priore, che a lungo si occupò della strage di Ustica. Il libro che s’intitola Intrigo internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire e ha una chiave di lettura della storia recente, non solo italiana, abbastanza originale: la lunga “guerra fredda” o più propriamente la “guerra a bassa intensità” tra Usa e Urss non riassorbe e sopprime tutti i conflitti del suo tempo, benché li condizioni e ne rappresenti lo sfondo. Questo spiegherebbe, per esempio, la relativa autonomia della Germania Orientale, che pretendeva un primato tra i paesi sottoposti a sovranità limitata dall’Urss. E questo spiegherebbe il diverso articolarsi delle posizioni degli Stati europei rispetto al conflitto israeliano palestinese che non era interamente riconducibile allo schema bipolare. Questi contrasti, secondo gli autori del libro, non si manifestavano soltanto nelle attività diplomatiche, ma anche e soprattutto in pratiche di guerra come furono nell’Europa degli anni 70 e 80 il terrorismo e lo stragismo, entro cui operano i servizi segreti dell’Est, spesso in contrasto tra loro, e dell’Ovest, non sempre concordi. Da questa lettura i due partono per accreditare, se non i particolari, la sostanza delle rivelazioni di Cossiga; anzi, in un certo senso, ne accentuano gli elementi “scandalosi”. Il loro ragionare infatti dà una patente di verosimiglianza all’ipotesi che il missile francese sparato sui cieli italiani non fosse diretto contro un aereo libico, ma proprio contro un aereo di linea italiano, e che l’atto terroristico fosse un avvertimento contro il protagonismo italiano nel Mediterraneo, che la Francia, antica potenza coloniale, considerava campo della sua supremazia. Su Bologna i due, senza del tutto scartare la pista nera (c’era tra i “neri” un forte sentimento anti israeliano e filo arabo, legato al razzismo antisemita dei nazifascisti), sembrano propendere per la pista palestinese, ma sembrano pensare più a un “avvertimento” che a un incidente. Gl’italiani, violando il “lodo Moro”, avevano arrestato uno dei capi del Fplp e sequestrato il suo imponente deposito di armi. L’attentato bolognese aveva lo scopo di mostrare agli italiani che anche il loro paese poteva diventare teatro della guerra terroristica arabo-israeliana, com’era già accaduto a Francia e Germania. Le tesi del libro sono suggestive, ma senza vere pezze d’appoggio fattuali, e perciò con poco peso, nonostante l’autorevolezza del giudice Priore. Quello che risulta amplissimamente documentato è invece, su Ustica e su Bologna, l’incessante opera di confusione, di eliminazione di indizi, di fabbricazione di prove false che pezzi importanti della Stato italiano (e non solo i servizi segreti), con importanti coperture politiche, mettono in atto per occultare qualcosa che resta inafferrabile. Tra i partecipanti al convegno della Saltamartini due sono in qualche modo ascrivibili alla sinistra politica: il socialista Rino Formica, che al tempo delle due stragi era, in quanto ministro dei trasporti, una delle autorità competenti, e Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione parlamentare sulle stragi nella tredicesima legislatura e studioso dei fenomeni eversivi. Formica fa un intervento metodologico, distinguendo tra verità giudiziaria, verità politica e verità storica: le prime due sarebbero fortemente condizionate dal contesto internazionale, dai rapporti politici, dal sistema giudiziario e dunque spesso assai parziali e approssimative sulle vicende del terrorismo, la terza resa oggi più accessibile dalla fine ormai ventennale della guerra fredda. Più interessante è il ragionamento di Pellegrino. Nel 1980 – dice l’ex parlamentare diessino – gli effetti di stabilizzazione moderata cui tendeva la strategia della tensione si erano in buona parte prodotti: i comunisti erano di nuovo all’opposizione, i socialisti di Craxi erano tornati al governo nel pentapartito di Cossiga su una linea di intransigente atlantismo, in tutto il paese il clima era di restaurazione. La strage di Bologna, pertanto, difficilmente s’inquadrerebbe in quella strategia di stabilizzazione autoritaria, cui con ruoli e apporti diversi partecipavano apparati statali, servizi occidentali, Nato e Cia, P2, gruppi neofascisti: una risposta d’ordine di tipo fascista era impedita da numerosi fattori (tra l’altro la presenza di Pertini al Quirinale), una risposta d’ordine di tipo moderato era già in atto. Pellegrino è un ragionatore brillante. Per lui la mancanza dei mandanti e del movente inficerebbe la sentenza sulla strage di Bologna, nonostante gli indizi contro i Nar di Mambro e Fioravanti. Pellegrino vanta la lettura di molti faldoni relativi a processi per strage, temo che gli manchi una lettura recente de I demoni di Dostoewskij; lo aiuterebbe a capire il come e il perché ci sia nel terrorismo una logica interna di escalation che porta ad andare avanti nel crimine a prescindere dalle motivazioni e dai risultati. E’ assolutamente verosimile una pratica della tensione e del terrore che non si spegne e si fa perfino più atroce e temeraria, anche quando non sussistano più le condizioni che l’hanno originata. Non c’è in questa riflessione una scelta colpevolista su Mambro e Fioravanti, non ne so abbastanza per scegliere, ma solo una raccomandazione di prudenza.
Lunedì scorso, due di agosto, a Bologna, per il ricordo del trentennale della strage, non c’erano membri del governo, hanno mandato a rappresentarli il prefetto. E’ gravissimo: la solennità conferita dalla cifra tonda avrebbe suggerito una presenza al massimo livello. Ma Giovanardi ha detto “c’è troppo odio”, e La Russa “ci fischiano”, e Berlusconi non vuole che si vedano in Tv dei fischi a lui o a membri del suo governo. Pure quella piazza e il sempre attivo e coraggioso Comitato dei familiari delle vittime fondato da Torquato Secci hanno buone ragioni per fischiare, se, per riconoscimento unanime, quelle fin qui acquisite sono, nella migliore delle ipotesi, verità incomplete. Ci sarebbe un modo, per questo governo, di evitare i fischi, quello di togliere il “segreto di stato” visto che, come la stessa Saltamartini dice, è giunto il tempo della “verità storica”. E’ ora di aprire gli archivi, di desecretare tutti gli atti, tutte le carte, dei servizi e dei ministeri, dell’esercito e della Nato, delle ambasciate e dei consolati.
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