Nacque sull’orlo di una calamità. All’improvviso. E senza levatrice. Era l’anno 1867. E un’epidemia di colera imperversava sull’Italia meridionale. La gente moriva a mucchi. Nelle terre di Sicilia, le femmine e i bambini, chi avesse campagna li portava al largo. Ma gli uomini che rimanevano nei centri affollati recavano il contagio alle famiglie quando li visitavano.
La madre del nostro, donna Caterina, era incinta quando con altre donne e madri e cùccioli escì dall’abitato. E il padre, don Stefano, rimaneva a Girgenti, essendo egli, come si vedrà, cittadino smanioso d’eroismi.
Così avvenne che don Stefano, standosi a Girgenti per le provvidenze per il popolo, fu contagiato. Suo primo pensiero, nascondere alla moglie la disgrazia. Lo medicarono prontamente secondo il costume, tra rozzo e forte di quelle genti. Gli cacciarono in gola una bottiglia di liquore: assalirono il male frettolosamente e con audacia: cognac, mattoni caldi. Il colpito era bravo della persona. Si riebbe; e non d’altro era vago che di tornarsene ai campi, affinché la moglie non s’agitasse dell’assenza prolungata.
Ma quando vi giunse, e la sua donna gli venne incontro, lo vide così scolorato e vinto che non ebbe necessità di rivolgergli domande. Dalla pena improvvisa fu così sconvolta che il suo dolore d’amante si mescolò al dolore della maternità.
E nell’atto stesso del ritorno del marito, orse dieci, forse venti giorni prima del previsto, fu colta dalle doglie. Nelle quali com’ebbe penato parte della notte, partorì il figliuolo.
Sull’orlo della Tragedia aprì gli occhi, cacciato fra i vivi da una spirituale ansietà della vita, Luigi.
La sua casa campestre sorgeva al limite di un bosco. Come le dimore estive siciliane sorgeva al margine di un grande bosco di querce e d’ulivi: nel linguaggio del luogo nominato caos.
“U vuoscu du Causu”.
Pirandello dunque nacque nel Caos.
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