10.8.10

Una pagliacciata proibizionista (da "il manifesto")

“Fuoriluogo” è uno degli inserti mensili de “il manifesto” e in quanto tale fratello del nostro “micropolis”, ma è anche il titolo di una rubrica sui temi tipici dell’inserto (droghe, proibizionismo, carceri, emarginazione) che settimanalmente si ritrova sulle pagine del glorioso “quotidiano comunista”. Gli ultimi due articoli pubblicati, rispettivamente di Giorgio Bignami (28 luglio 2010) e di Grazia Zuffa (4 agosto 2010) raccontano, da angolazioni diverse, due puntate di una storia curiosa, quella della demonizzazione italiana dei cocadrinks, bevande analcoliche aromatizzate alla foglia di coca (de cocainizzata), colpevoli di incoraggiare in qualche modo “la cultura della droga”. E’ una vicenda insieme ridicola e tragica, tipica del sempre risorgente fascismo italiano, dove la violenza repressiva, foriera di guerra e di morte, sistematicamente si mescola alle pagliacciate. (S.L.L.)

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Cocadrinks, a chi giova la caccia alle streghe?

di Giorgio Bignami

La casa brucia, come evidenziano anche i servizi sulla droga sempre più dettagliati e allarmanti nei grandi media – per esempio, quelli di “Sette” del “Corriere della Sera”, di cui l’ultimo sulla droga a Roma (22 luglio); o quello sull’escalation del narcotraffico per mano dei criminali serbi su “L’Espresso” del 23 luglio -; ma i Nostri sembrano soprattutto preoccupati di dar la caccia alle presunte streghe e di minacciare di mandarle al rogo, come nel caso delle bevande alla foglia di coca. A pensar male si fa peccato, eccetera: ma questo cliché sta diventando così ripetitivo e insistente da far supporre che una tale persecuzione di capri espiatori serva soprattutto a mascherare l’omertà (o peggio) verso i veri responsabili dell’incendio: cioè quelli che travasano i profitti dell’economia criminale in quella legale (è di questi giorni la notizia che oltre 5.000 esercizi sono stati “rilevati” da mafia e camorra); che direttamente o indirettamente foraggiano i politici di ogni razza e colore; eccetera.

Dunque, la nuova puntata del serial “auto-da-fé” è la massiccia mobilitazione contro il pericolo che si allarghi in Italia lo “spaccio” di bibite aromatizzate con foglie di coca, come il Cocalime della Buton di Bologna, o il Kdrink di cui la Qualitaste di Gallarate ha di recente annunciato il lancio. (L’aromatizzazione con foglie di coca è una procedura perfettamente lecita secondo la Convenzione internazionale e quanto ne discende:e questo, ovviamente, sin che produttori e distributori non siano eventualmente presi con le mani nel sacco per un vero e proprio “drogaggio” illecito della loro merce). “Grave minaccia sociale”, tuona Pasquale Franceschini, coordinatore della Giovane Italia (non quella di Giuseppe Mazzini, ma l’organizzazione giovanile del Pdl). Sempre dal Pdl, Mirco Carloni consegna una “viva e vibrante” (direbbe Crozza) mozione al Consiglio regionale delle Marche: un testo all’altezza di Totò e Peppino, dove si parla di un “messaggio altamente diseducativo”, destinato soprattutto a quei locali che sono affollati di giovani, discoteche e altro. Dal congresso dei neuroscienziati a Verona ci viene il preoccupato avvertimento contro “una speculazione da condannare”. Infine non poteva mancare una solenne esternazione del Giovanardi/Serpelloni pensiero: in un comunicato del Dipartimento antidroga si annunciano le più rigorose e scientifiche misure di controllo e di analisi chimico-tossicologica sui fiumi di bibite che circolano soprattutto in questa bollente stagione: che sarebbe come campionare e analizzare le acque di tutte le innumerevoli ramificazioni nei delta del Nilo, del Gange, del Missisippi-Missouri. Soldi ben spesi, insomma, meglio ancora di quell’investimento a resa quasi-zero nei test sui lavoratori, di cui allo scritto del 21 luglio di Giuseppe Bortone in questa stessa rubrica.

Ma allora, cui prodest una tale mobilitazione generale? Coca-Cola e Pepsi-Cola sono forse preoccupate per una possibile concorrenza a danno del loro duopolio? E se come scrivono Giovanardi e Serpelloni, è “eticamente non accettabile e legalmente ai margini [corsivo nostro] una pubblicizzazione delle bevande legandole al nome di una sostanza stupefacente, quale la cocaina”, allora come la mettiamo con la Coca-Cola, la cui formula per incidens resta un segreto gelosamente custodito per sette e più generazioni? Misteri dei Ministeri, avrebbe detto il compianto Augusto Frassineti, che tali misteri aveva saputo esplorare a fondo come voce di dentro: ma di voci di dentro che parlino chiaro ce ne sono ormai ben poche.

Tornando infine al succitato servizio de “L’Espresso”, colpisce anche un box dedicato a Narcostati in America Latina (Editrice Berti) del questore Piero Innocenti, che ha avuto una lunga e approfondita esperienza in materia. Questa breve nota riferisce che l’autore e il prefatore Gian Carlo Caselli concludono che il sistema narcotraffico è invincibile: a meno, scrive Caselli, di una inversione delle attuali tendenze con l’adozione di politiche alternative. Che certamente non sono quelle seguite sinora dall’agenzia delle Nazioni Unite guidata da Arlacchi e da Costa, ora affidata al russo Fedotov, esponente di un paese ultraproibizionista che invoca una ulteriore escalation della fallimentare guerra alle droghe; e tanto meno dal nostro Paese.

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La foglia di coca dell’onorevole La Qualunque

di Grazia Zuffa

“A chi giova?” Si chiedeva Giorgio Bignami in questa rubrica (28 luglio) a proposito della campagna politico-mediatica contro la Kdrink, la bevanda con estratti dalla foglia di coca. E’ una bella domanda la cui risposta non è semplice perché gli interessi (di bassa lega) sono più d’uno, parrebbe.

Vale dunque la pena di approfondire questa brutta vicenda. Cominciamo dal fatto che il linciaggio subito dalla Kdrink ha raggiunto un primo risultato: la distribuzione della bevanda è stata fermata a Roma e in diverse altre città e, com’era da aspettarsi, gli ordini dei clienti sono stati quasi tutti cancellati. Eppure la bevanda è del tutto legale, perché l’aromatizzazione con estratti di foglia di coca decocainizzata (privata degli alcaloidi della cocaina) è consentita dall’art.27 della Convenzione Unica delle Nazioni Unite e la procedura di analisi per verificare l’assenza di alcaloidi è concordata con lo International Narcotics Control Board (Incb), l’organismo che sovrintende l’applicazione delle convenzioni. Anche il Consiglio d’Europa riconosce l’estratto di foglia di coca come uno degli aromatizzanti ammessi. Di più, la Kdrink è il frutto di un accordo stipulato nel 2002 fra la ditta produttrice (la spagnola Royal Food &Drink) e il governo del Perù per creare sbocchi commerciali legali ai contadini peruviani che producono foglia di coca. Dunque, è un (piccolo) progetto nell’ambito della riconversione dell’economia illegale legata alla cocaina, per favorire il decollo economico (legale) dei paesi dell’America Latina. Un tassello, quello dello sviluppo alternativo, che fa parte delle politiche globali di contrasto alle narcomafie sostenute, a parole, da tutti gli stati, compresi i più guerrieri dei “guerrieri delle droghe” ( gli Stati Uniti sono il maggiore importatore di foglia di coca, al fine di estrarne aromatizzanti per bevande).

Ciò nonostante, l’armata antidroga casereccia, capitanata da esponenti del Pdl, è partita lancia in resta contro la bevanda “diseducativa”. Né potevano mancare gli squilli di tromba di Giovanardi (vedi ancora l’articolo di Bignami). Ciò che è più grave, e che vogliamo denunciare, è che gli apparati dello stato sembrano muoversi dietro l’input di questa più che discutibile campagna politica. Il 12 giugno 2010 la compagnia che imbottiglia la Kdrink riceve una lettera dai carabinieri del Nas di Padova, a firma del comandante Pietro Mercurio: dall’analisi della bevanda, effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità, risulterebbero “tracce di cocaina”. Il fatto strano è che il prelievo dei campioni è stato effettuato il 1 dicembre 2008. Da allora nessuno ha avvertito i produttori e i distributori di alcuna irregolarità, tanto che la Kdrink è stata in circolazione per due anni. Perché i Nas informano il distributore diciotto mesi dopo il prelievo? Peraltro, tutti i test di routine effettuati in questi anni attestano che il contenuto della bevanda è perfettamente in regola.

Ancora più strano è che a tutt’oggi il produttore non riesca ad avere dai Nas alcuna informazione circa le analisi dell’Iss (il tipo di analisi effettuata, la quantità di alcaloide trovata etc.). Insomma la Kdrink si trova nell’impossibilità di difendersi dalle accuse, mentre solerti rappresentanti delle forze dell’ordine in diverse città procedono a “sequestri cautelativi”(che ne dicono gli esponenti Pdl così solerti nell’invocare la parità fra accusa e difesa?).

Per tornare al cui prodest di questa vicenda. Se la ride la Coca Cola? Forse sì, anche se la sproporzione fra questo colosso e la piccola Royal Food &Drink è enorme. Di certo non piange la Buton, che da tempo produce, senza alcun problema, il liquore Coca Buton e da poco anche il Coca Lime. Tutti rigorosamente aromatizzati con foglia di coca. Che la Buton abbia le spalle più larghe, tanto da far chiudere un occhio ai moralizzatori nostrani sui “messaggi diseducativi”?

Più di tutto, sgomenta lo squallore della retorica antidroga. Per avere un po’ di visibilità mediatica, se ne fregano che la bevanda sia conforme a legalità (ma c’è legalità e legalità, ingenui che siamo!). Tanto meno si preoccupano (i moralizzatori) di danneggiare un piccolo progetto sorto a sostegno dei contadini peruviani. Né interessa che la Kdrink sia una bevanda analcolica, destinata ad un pubblico di giovani: anche l’allarme alcol è niente più che uno specchietto per il cittadino gonzo. Avanti così, onorevole La Qualunque.

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