L’altro ieri, tornando dall’ospedale, alla stazione di Fontivegge ho cambiato bus; ho preso la P per passare dal Giò, ove c’è una bella scelta di formaggi, una delle poche gioie di cui il mio palato possa tuttora godere. Avevo preso posto e attendevo la partenza. Sale una ragazza in maglietta, forse di vent’anni, alta, bella e attraente per il viso e le forme, ma ancora di più “presente”, di quelle che non puoi fare finta che non ci siano.
Chiedeva informazioni all’autista in un italiano corretto, ma con una forte inflessione latinoamericana. Ho idea che conoscesse a sufficienza la struttura viaria di Perugia, ma non altrettanto la toponomastica. Fa: “Quando arrivi davanti alla galleria vai a destra o a sinistra?”. “Io vado sempre a sinistra e dunque entro in galleria – fa l’autista con tono trionfale”. La ragazza replica: “Ah sì? Sempre a sinistra?”. E lo fa con voce squillante, un trillo, che esprime allegria e comunica allegria. Deve essere, anche lei, una compagna.
A volte basta un dialogo così ad aggiustarti una serata. Anche adesso, a ripensarci, ne provo consolazione.
Chiedeva informazioni all’autista in un italiano corretto, ma con una forte inflessione latinoamericana. Ho idea che conoscesse a sufficienza la struttura viaria di Perugia, ma non altrettanto la toponomastica. Fa: “Quando arrivi davanti alla galleria vai a destra o a sinistra?”. “Io vado sempre a sinistra e dunque entro in galleria – fa l’autista con tono trionfale”. La ragazza replica: “Ah sì? Sempre a sinistra?”. E lo fa con voce squillante, un trillo, che esprime allegria e comunica allegria. Deve essere, anche lei, una compagna.
A volte basta un dialogo così ad aggiustarti una serata. Anche adesso, a ripensarci, ne provo consolazione.
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