5.9.10

La tristezza di Rutelli. L'articolo della domenica

Sabato sera si è chiusa nell’Antico Borgo di Labro, nel Reatino, la festa di Alleanza per l’Italia, il piccolo movimento fondato da Francesco Rutelli con Tabacci, Vernetti, Zanone e Lanzillotta. Le parole ufficiali sia del fondatore, sia dei suoi compagni d’avventura, sia dei collaboratori sono di gioia e soddisfazione. Proclamano letizia e ostentano il sorriso per le ragioni che di solito allietano queste circostanze: il numero e la qualità dei dibattiti, una scuola giovanile di politica (adesso vanno molto di moda!), l’ambiente accogliente, la poca spesa, l’impegno dei volontari. Ma agli esperti fanno sapere che anche per quanto riguarda la politica le cose per Api vanno bene: che Fini è venuto e Casini pure, che Casini ha ben parlato e Fini anche, che gli autonomisti e i civici contribuiscono e il terzo polo ha già oggi, nei sondaggi, il 20-22 per cento.

Anche le previsioni politiche sono rosee. Dice Rutelli: Berlusconi non vuole più le elezioni, ha capito che, se si votasse oggi, non vincerebbe lui, ma la Lega che oggi gli si stringe sorniona intorno e sembra dire:“Oggi ti proteggo, domani ti mangio”. Aggiunge l’ex pupillo di Pannella: Berlusconi e sa che, in ogni caso, difficilmente avrebbe una maggioranza al Senato, se non risicatissima. Conclude: le elezioni non si faranno.

E allora? Il “bel guaglione” non ha dubbi: niente ribaltoni, la maggioranza resta maggioranza, l’opposizione resta opposizione; ma l’Api farà da ponte. Dice il fondatore del Pd: riprenderemo gli aspetti del programma di governo di Berlusconi messi da parte per volontà di Bossi e cercheremo consensi in Parlamento. Aggiunge: faremo un’operazione verità sul federalismo e cercheremo apporti trasversali per unire il meglio della destra e della sinistra, in modo da isolare gli estremisti. Rutelli, insomma, conta sulla paralisi politica del Pd e sullo sfilacciamento del Pdl, che, perso Fini, potrebbe vedere l’autonomizzazione di altre componenti moderate. Alla fine della legislatura, insomma, il trio centrale (Fini, Rutelli, Casini) dovrebbe essere così forte da mettere sotto la sua cappella quel che resta del Pd e su questa base sfidare con successo la Lega e un Berlusconi ridimensionato.

In questi calcoli due cose non funzionano.

La prima. E’ molto improbabile, dato il temperamento dell’uomo e la famelicità dei suoi subalterni e servi (i Bondi, gli Schifani, i Cicchitto, i Gasparri ecc.), che il Cavaliere si contenti della garanzia di non andare in galera per accettare senza colpi di testa il proprio declino politico. E’ ancora più improbabile che Bossi e la sua Lega accettino lo svuotamento della loro “secessione di fatto” rappresentata dal federalismo fiscale nel libero gioco parlamentare. L’eventuale (e non molto probabile) crescita del terzo polo, anche soltanto nei sondaggi, accresce le possibilità di elezioni anticipate.

La seconda. Rutelli parla, come tutti, di misure per l’economia, ma sembra non avere la consapevolezza della gravità della crisi e degli effetti dirompenti che sempre più avrà nei prossimi mesi la disoccupazione e la guerra tra poveri.

Insomma, l’ottimismo di Api e del suo presidente è fuori misura ed è, in gran parte, di facciata. Rutelli parla così per incoraggiare i suoi quattro gatti e se stesso. Sorride, ma la sua voce è velata di tristezza. E ad intristirlo non sono solo gl’infausti interiori presentimenti che contrastano con le consolanti illusioni, ma anche l’invidia per Fini, che, oggi come oggi, si è preso il centro dello scenario centrista e della scena mediatica, confinandolo in un angolino in un ruolo di comprimario o, benché incanutito, di “attor giovane”.

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