Ci sono delle facce che ispirano fiducia. Alla signora Titina De Filippo affideremmo il nostro libretto d’assegni, le nostre polizze d’assicurazione, i nostri beni mobili e quelli immobili; se li avessimo. Il suo viso largo e tranquillo, la sua espressione casalinga, il suo sorriso che viene fuori a malincuore come un lusso di cui una persona dabbene non dovrebbe abusare, il suo sguardo da chioccia, lento e sospettoso, quel suo aspettar pericoli da ogni parte e quel suo essere sempre pronta ad affrontarli, esercitano su di noi una profonda suggestione. Questa attrice che passeggia sulla scena con la compostezza di un possidente che passeggia nel proprio orto, e stacca le foglioline morte, svelle le gramigne, raddrizza i ramicelli, avvolge al sostegno le spire dei fagioli, c’ispira la confidenza e insieme l’indefinito imbarazzo delle persone che ci hanno visto nascere, che ci hanno tenuti in braccio quando eravamo in fasce e le nostre labbra odoravano di latte. Soli con lei non sapremmo che dirci, come fra parenti strettissimi e coi quali viviamo da quando stiamo al mondo. Quale potere di evocazione hanno i caratteri altrui sul nostro passato? L’aspetto della signora Titina De Filippo, il suo comportamento, la sua voce, hanno l’oscura facoltà di far rivivere i fatti più memorabili della nostra infanzia. Lei presente sulla scena, ci ritroviamo nel corso delle nostre bronchitelle annuali, quando, purgati, e costretti al digiuno, sognavamo la bistecca con le patatine come la più grande felicità… Una sola stonatura sull’accordo perfetto di questa attrice: il nome. Viziato oltre tutto da una canzoncina di triste memoria, il nome Titina non lega con lo stile di questa donna profondamente domestica e seria, alla quale converrebbe chiamarsi Amalia o Clementina. L’uomo somiglia al proprio nome, come la moglie al marito, il cane al cacciatore. Talvolta però le parti si invertono ed è il nome che finisce col somigliare al suo padrone. Benchè rarissimo, questo caso avverrà alla signora Titina.
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Dalle cronache teatrali del settimanale "Omnibus", diretto da Leo Longanesi. Poi su "L'Espresso - 16 maggio 1982.
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