Il Primo maggio del 1988 “il manifesto” pubblicò nel magazine “la domenica” un’intervista a Camilla Ravera sulla sua giovinezza, il padre funzionario del ministero delle finanze dalle simpatie socialiste (che doveva però nascondere pena il licenziamento), i suoi studi alle scuole magistrali, la partecipazione alle riunioni operaie in piazza o alla Camera del Lavoro. Camilla Ravera era morta, quasi centenaria (era nata nel 1889) da appena una settimana e l’intervista, curata da Milla Pastorino, risaliva al 1984. Ripropongo qui il racconto che la Ravera fa della sua iscrizione al Partito socialista. (S.L.L.)
Camilla Ravera |
Tu eri considerata una ribelle?
Io sono stata sempre considerata una ribelle. Abitavo a Torino, si stava costruendo la Fiat, e si vedevano certe volte colonne di operai in lotta perché dovevano guadagnarsi un po’ di bene. allora li vedevo sfilare così compatti, così ordinati, nessuno li dirigeva, così silenziosi e con passo regolare andavano sulla loro piazza per discutere i loro problemi. Allora io uscivo – mio padre non me lo impediva – e andavo a sentire cosa dicevano. Dopo avermi regalato Il Capitale mio padre mi disse: “Se leggi quel libro, ci metterai tantissimo a leggerlo attentamente, ma capirai perché avviene quello che avviene”. E così andavo a vedere, assistevo a questi movimenti, mi piaceva moltissimo. Avevo più o meno diciotto anni. Ero emancipata. Un giorno un operaio, che doveva essere uno dei dirigenti del sindacato, mi si avvicinò. Aveva in mano un blocchetto di tessere e mi disse: “Senta un po’, io la vedo a tutte le nostre più belle riunioni e manifestazioni. E’ più attenta di tutti noi. Batte le mani proprio al momento giusto. Dunque partecipa a quello che noi facciamo. E’ contenta? E’ d’accordo?”. “Sì, sì – dissi io – in generale sono d’accordo con quello che sento”. E perché non prende la tessera del Partito socialista? E’ il socialismo che deve dare tutte queste cose agli operai”. “Lo so – risposi – io ho letto Carlo Marx”. “Ha letto Carlo Marx e non prende la tessera del partito? E che cosa glielo impedisce? A casa?”. “No, no, a casa no. Ma non so, non ho il coraggio di mettermi lì a fare un discorso”. Non disse nulla, ma dopo dieci minuti quello che presiedeva si rivolse agli operai: “Ha chiesto la parola Camilla Ravera”.
E parlasti?
Sì, per la prima volta. Dovevo. Naturalmente con il più grande imbarazzo, però dicevo tra me e me: “Almeno presentarmi. Fare la scena è peggio”. E mi sono avvicinata lì, avevo sentito molto bene il discorso e ho cominciato col dire che ero d’accordo con molte cose che avevo sentito, e poi ho fatto qualche osservazione e tutti mi hanno applaudito. E quel compagno, quell’operaio è venuto a darmi la tessera.
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