Nel 1951, dopo molti dubbi e un tentativo di Stalin di tenerselo con un incarico internazionale, decideva di tornare in Italia da Mosca per riprendere pienamente ed effettivamente la direzione del suo partito. La notizia fu commentata su “L’Europeo” da Curzio Malaparte. Scriveva: “Lo vedremo finalmente tornare da noi con stile pomposo, come torna un “capo”, un gran capo. Tornerà col treno del cattivo gusto. Alla stazione di Roma andranno a riceverlo i soliti funzionari del Pci, con la solita schiera d’intellettuali che salutano in Togliatti il loro nuovo “Peppino”, il loro nuovo Giuseppe Bottai. E io son contento che torni”. La parte più coinvolgente dell’articolo a me pare la rievocazione del primo incontro dello scrittore con il segretario del Partito comunista italiano, nella Pasqua del 1944, a Capri, nella villa che Malaparte alla sua morte avrebbe lasciato in eredità al Partito comunista. Quello cinese. (S.L.L.)
Le scarpe aveva di poco prezzo, e malandate; la cravatta dal nodo lento era di stile “collettivo”; la camicia di tela a righe, dal colletto floscio, un po’ troppo largo, appariva sgualcita, come quella di chi, la notte, dorme con la camicia addosso. E i calzoni pendevano flosci, quasi vuoti, fuor dal lembo del soprabito.
Gli occhi dello sconosciuto, dietro lo schermo delle lenti, erano freddi, un po’ molli e insieme vitrei, come gli occhi dei pesci; ma lo sguardo era dolce, quasi triste con qualcosa di femmineo che mi turbò. Il viso era smorto, malsano, e chiazzato qua e là di gonfiori pallidi, come hanno coloro che soffrono di reni, o le donne incinte. Per quel suo aspetto dimesso, mi riuscì subito simpatico: forse perché era riuscito simpatico al mio agnellino. Gli animali raramente si sbagliano sull’odore degli uomini. E il Togliatti di quel giorno di Pasqua del 1944 doveva certo avere un odore che piace alle pecore. Non dimenticherò mai quell’immagine di Togliatti, del capo del comunismo italiano, in piedi sulla soglia, con accanto un agnellino che strofinava il muso sulle sue ginocchia. Lo sconosciuto mi venne incontro lentamente, mi tese la mano dicendomi il suo nome, e mi sorrise. Aveva un sorriso buono, un po’ timido. Dietro di lui entrarono Talamona ed Eugenio Reale, oggi senatore, che fu poi sottosegretario agli Affari Esteri e ambasciatore d’Italia a Varsavia. Li accompagnai nella biblioteca,e, appena entrato, Togliatti, indicando un quadro di Henri Matisse appeso alla parete in fondo alla stanza esclamò: “Oh, un Matisse”. La biblioteca è lunga dieci metri. Un capo comunista che riconosce un Matisse a dieci metri di distanza, è cosa piuttosto rara; e confesso che ne fui sinceramente impressionato, direi quasi spaventato. Fra tutti i “gerarchi” che si sono succeduti al potere in Italia in questi ultimi trent’anni, ho incontrato due soli in grado di riconoscere Matisse a dieci metri distanza: Togliatti e Bottai. (E’ la seconda volta che mi vien di scrivere il nome di Bottai a proposito di Togliatti: ma è facile capire che non l’ho fatto apposta).
Ci mettemmo a parlare e il discorso venne ben presto a cadere sulla situazione degli intellettuali italiani di fronte al fascismo, al comunismo e alla guerra di liberazione. Togliatti, mentre rispondevo alle sue domande, mi guardava c on curiosità intelligente, e non tardai ad acorgermi che in quella sua curiosità c’era molta simpatia. (Il mio singolare destino è di riuscire simpatico a chi mi manda in galera. Benito Mussolini , è innegabile, aveva per me molta simpatia: e mi mandò in galera. Sarei proprio curioso di sapere dove mi manderebbe Togliatti). E non era quella simpatia astratta, di genere femminile, piena di vanità e di sospetto che un intellettuale ha sempre per un altro intellettuale. Ma una simpatia concreta, ad personam, sollecitata tanto dai miei scritti che dai casi della mia vita, così dal mio non conformismo di scrittore come dalla mia riottosa indipendenza di carattere. Mi guardava fisso, e ogni tanto sorrideva, voltandosi verso Eugenio Reale e verso Talamona come per dire: “E’ proprio come me lo immaginavo, e come me lo avete descritto voi”.
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