1.10.10

"Fatti loro". Camilleri racconta Pirandello e la mafia dell'Ottocento.

Quello che qui propongo è l’incipit di uno scritto di Andrea Camilleri dal titolo originario Cose nostre e cose loro. Faceva da apertura ad uno dei “taccuini” che il settimanale Diario della settimana, diretto da Enrico Deaglio, regalava ai lettori insieme al giornale. Il taccuino in questione intitolato Conviene essere onesti? fu curato da Gianni Barbacetto e distribuito in edicola nella settimana tra il 9 e il 15 dicembre del 1998.
Un uomo ucciso per strda a Catania, 1998
Luigi Pirandello racconta che, quando era ancora bambino, andò ad abitare con la famiglia in una casa di Girgenti (oggi Agrigento) sita in via San Pietro. era una strada che lo scrittore, nella novella Il vitalizio, ricorda come fosse malfamata “per tanti delitti rimasti oscuri e, a passarci sul tardi, incutesse un cert sgomento. I passi vi facevano eco, perché il pendio del colle troppo ripido metteva lì quasi a ridosso delle case”. Uno scenario dunque assai inquietante, favorevole alle rese dei conti, agli incontri clandestini, agli appuntamenti furtivi.
Una sera d’estate, mentre la famiglia era riunita per la cena, dalle finestre spalancate per il gran caldo irruppero fragorosamente le grida, gli insulti, le bestemmie di una violenta rissa proprio sotto il portone di casa. D’un tratto il disperato urlo di dolore di un uomo accoltellato pose termine al vociare: si sentirono gli scalpiccii di passi in fuga e quindi, nell’improvviso lamento che ne seguì, i lamenti e le sommesse invocazioni d’aiuto del ferito. Senza che nessun ordine le fosse stato dato, la cameriera si precipitò a chiudere persiane e finestre perché il suono della violenza, la voce dell’orrore e del dolore non penetrassero ulteriormente dentro la quiete delle mura domestiche. L’accoltellato venne ritrovato alle prime luci dell’alba del giorno appresso, ma ormai senza più vita.
Non si deve pensare però, considerando questo episodio, che nella famiglia Pirandello regnassero indifferenza, egoismo, timore dell’inevitabile coinvolgimento. tra l’altro il padre dello scrittore, Stefano, ex garibaldino, era uomo d’eccezionale coraggio, addirittura aveva avuto uno scontro a fuoco con un temuto brigante ed era rimasto seriamente ferito (ma il brigante era finito in galera). Il non voler vedere, il non voler sentire, era l’atteggiamento più comune e diffuso tra le famiglie della borghesia siciliana, grande o piccola e che fosse, e che si poteva compendiare in questa semplicissima frase: “fatti loro”. Veniva eretto un muro, un confine apparentemente ben delineato, ben difeso, tra i malavitosi di mafia e le cosiddette “persone civili”, quelle cioè che badavano a non immischiarsi, a non farsi sporcare dal “sangue” che la sopraffazione spesso faceva scorrere. Accennare a un fatto di mafia all’interno di un salotto di “persone civili” equivaleva come cattivo gusto, a parlare di disturbi di stomaco durante un pranzo di gala. “Fatti loro”, dunque, e tali dovevano restare. Ma prima ho scritto “apparentemente” a ragion veduta. Perché molte persone di quelle persone perbene, se non per un loro problema irrisolvibile per via legali avevano bisogno di soluzioni non propriamente ortodosse, non si facevano scrupolo di reclamare l’appoggio e l’aiuto di qualche mafioso locale, del resto ben conosciuto con tanto di nome, cognome e indirizzo. la mafia dunque, ostentatamente e ipocritamente ignorata, veniva in certe occasioni riconosciuta, attivata e usata. A sua volta la mafia, fatto il favore richiesto, presentava il conto del suo intervento esigendo a sua volta favori, voti privilegi.

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