3.10.10

Il falcone. Un uccello tutt'altro che insignificante (Alessandro Barbero)

Un articolo  sulla falconeria e i suoi significati nella storia, esempio di buona divulgazione (S.L.L.). 
Uno status symbol per i nobili 
fin dai tempi di Federico II

Nel Falcone maltese di Dashiell Hammett, l'investigatore Sam Spade apprende che nel Cinquecento i cavalieri di Malta regalavano all'imperatore Carlo V, come riconoscimento della sua sovranità sull'isola, un falcone ogni anno; ma che il primo anno, per ringraziarlo più degnamente, invece di «un insignificante uccello vivo» gli avevano mandato in dono un falco d'oro tempestato di gemme. Da un hard-boiled ambientato nella San Francisco del 1930 non ci si può aspettare una piena sintonia con la cultura cavalleresca medievale, e Hammett appare spiazzato da un contratto di affitto così bizzarro: che l'uccello sia «insignificante» è ripetuto due volte in poche righe. E' vero esattamente il contrario: di rado in un animale si sono concentrati tanti significati culturali com'è accaduto in passato per i falchi da caccia, tanto in Europa quanto nel mondo islamico, in Cina e in Giappone. Il significato più vistoso è anche il meno spirituale, ma basta a spiegare perchè in società così diverse, e sull'arco di molti secoli, re e nobili abbiano rivendicato la falconeria come il più prestigioso degli status-symbol. I falchi costavano carissimi, per la buona ragione che nessuno era ancora riuscito a farli riprodurre in cattività; per averli era necessario rubare dal nido le uova o i nidiacei, e sperare poi di riuscire ad allevarli. Quando un falco aveva superato la prima muta, bisognava addestrarlo alla caccia, e a ritornare sul pugno del padrone una volta catturata la preda. La lentezza e difficoltà di questo procedimento, e l'altissima mortalità che comportava, facevano sì che un buon falco da caccia costasse come oggi può costare una barca da diporto. Si capisce, allora, il senso della novella di Federigo degli Alberighi, in cui Boccaccio racconta d'un nobile rovinato, cui non era rimasto nulla della passata ricchezza se non «un suo falcone de' migliori del mondo». Quando la donna che ha amato per tutta la vita senza mai esserne ricambiato si presenta all'improvviso a casa sua, Federigo, non avendo nulla da mettere in tavola, di nascosto tira il collo al falcone e lo serve allo spiedo; gesto che alla fine, venuto alla luce, gli procurerà l'amore della donna, commossa dalla «grandezza dello animo suo». Una reazione che ben difficilmente il lettore di oggi potrebbe comprendere, senza sapere che il falcone costava come una Ferrari. Eppure non sarebbe giusto ridurre tutto a una questione di soldi. Nella fierezza, ferocia ed eleganza del falco i nobili medievali, gli emiri arabi e i samurai riconoscevano un'immagine di se stessi, quali erano o avrebbero voluto essere. L'identificazione tra il padrone e il falco era così spinta che il sacrificio di Federigo degli Alberighi è la metafora di un suicidio; specularmente, molti secoli prima, come racconta un antico poema nordico, un nobile sassone che andava a combattere i vichinghi «fece volare dalle mani l'amato falco verso il bosco», per dimostrare che s'era distaccato da tutto ed era pronto alla morte. L'intimità dei nobili con questi animali così difficili da allevare, e le difficoltà tecniche implicite nella sfida, stimolarono curiosità destinate a portare lontano. Il primo trattato europeo in cui gli animali siano descritti con l'occhio attento del naturalista, anzichè pensando alle loro valenze simboliche come negli antichi bestiari, è il volume dell'imperatore Federico II sulla falconeria, «De arte venandi cum avibus». Per l'accuratezza con cui illustrano innumerevoli specie di uccelli, le sue miniature anticipano le tavole naturalistiche dei trattati sette-ottocenteschi: come dire che la falconeria è uno dei tanti bacini di coltura da cui nacque la scienza moderna.

 "La Stampa", 22 aprile 2007

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