Torino, 14 ottobre 1980 |
Giovedì 14 ottobre “La Stampa” di Torino ha dedicato uno degli editoriali e un intero paginone ad un anniversario, il trentesimo dalla cosiddetta “marcia dei quarantamila” di Torino, la manifestazione dei “capi” e dei quadri che pose fine ad un ciclo di dure lotte operaie, spesso vittoriose, alla Fiat di Torino. Nella doppia pagina il titolone sentenziava: “Con i Quarantamila finì il Sessantotto”: Annibaldi vi raccontava la vicenda e la trattativa dal punto di vista di un dirigente Fiat e venivano poste a confronto due testimonianze, di un operaio delegato sindacale e di un capetto partecipante alla marcia. Occhielli e sommari sono tutto un trionfo. Vi si può leggere Trent’anni dalla marcia o la vertenza che ha cambiato un’epoca. L’enfasi è tanta, forse anche troppa, ma “La Stampa” è il quotidiano della Fiat, dei suoi padroni e manager. Negli anni 60 e 70 gli operai torinesi la chiamavano “La bugiarda”; oggi è un quotidiano a più voci e non alieno da aperture critiche su molti temi sociali, politici e culturali ma è pur sempre il quotidiano della Fiat e rievocando la marcia celebra una vittoria “storica” dei suoi proprietari.
Neppure l’editoriale, La prossima marcia dei 40 mila, affidato all’economista Mario Deaglio, è un modello di sobrietà. Basta guardare l’inizio: “La marcia dei 40 mila fu la manifestazione che pose fine a tutte le manifestazioni”. La tesi di Deaglio è che quella marcia dà l’avvio a una sorta di restaurazione, mettendo fine non solo alle intemperanze ma anche alla spinta di rinnovamento ei “sessantottini”; e che essa costituisce una svolta soprattutto nella politica del sindacato, che comincia “a giocare in difesa, ad aprire fortemente ai pensionati che ne condizionano le strategie, a disinteressarsi dei giovani che oggi largamente lo ignorano”. Quello che i sindacati faranno dopo sarà, a detta di Deaglio, solo una “lunga guerra di posizione” per l’ordinata gestione della “ritirata industriale dell’Italia”. La lettura è discutibile, ma andrebbe appunto discussa.
Roma, 16 ottobre 2010 |
Meno discutibile mi pare la chiusa, in cui l’articolista espone le sue speranze rispondendo alla domanda sulla possibilità oggi di una nuova marcia che metta in moto “un mutamento radicale di carattere economico, politico e sociale come quello di trent’anni fa”. La marcia che Deaglio spera è “quella dei giovani che un lavoro non ce l’hanno e si devono arrangiare con lavori precari”.
Dentro le speranze di Deaglio è nascosta peraltro una convinzione: che il sindacato, che tutto il sindacato sia oramai uno strumento di tutela, peraltro piuttosto debole, dei “garantiti” e che i giovani precari debbano cercare altrove alleati. Le cose negli ultimi giorni sembrano smentire questa convinzione. La manifestazione di ieri della Fiom ha, per la prima volta, registrato un concorso straordinario di giovani lavoratori, precari o disoccupati, che non si vedeva da moltissimo tempo. E non erano solo i precari della scuola e del Call center, e tutto un mondo che ha visto nella giornata di lotta del 16 ottobre un barlume di speranza. E’ stata una manifestazione la cui forza è certamente sorprendente, perché si svolgeva nel vivo di una crisi che macina solidarietà piuttosto che costruirne. Credo che essa esprima una ribellione che unifica, al di là della stessa divisione sindacale, il mondo del lavoro, una ribellione contro lo scambio lavoro-diritti, che in pratica sopprime i diritta senza neppure garantire il lavoro. La grande partecipazione della gioventù lavoratrice dà forza a quella prospettiva “confederale” e al profilo di classe che neppure tutta la Cgil è riuscita a mantenere, ma solo la Fiom. “E’ solo l’inizio” – si diceva una volta con un senso di illimitata fiducia nelle potenzialità della lotta. Oggi la frase si può ripetere solo con una sfumatura di preoccupata prudenza, con un pensiero al duro lavoro che c’è da fare, alla difficoltà dell’impresa, alla prevedibile fortissima resistenza degli avversari, ma il 16 ottobre 2010 è una bella giornata: può avviare un cambiamento ed ha pertanto qualche possibilità di passare alla storia.
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