18.11.10

Papa Pecci, un liberale immaginario.

Curzio Nitoglia, come è facile ricavare da una visita al suo sito, è un prete tradizionalista che abita gli spazi del lefebvrismo italiano ed è peculiarmente agitato da una sorta di ossessione antigiudaica, con tutte le suggestioni complottistiche del caso. I suoi idoli sono pertanto i papi più tradizionalisti degli ultimi due secoli, i più bravi a scomunicare a destra e a manca e i più scatenati contro i “perfidi giudei”, che il prete considera origine di quasi tutti i mali della modernità. Sarebbe pertanto difficile trovare persona più lontana dal nostro modo di pensare e di leggere la storia.
L’omino, tuttavia, nel suo cercare pezze d’appoggio per le sue tesi, ci aiuta a ristabilire una verità che soprattutto a Perugia sovente s’oblia. Qui a Perugia, intorno alla Curia, è cresciuto una sorta di mito sulla figura di Leone XIII, che come vescovo Gioacchino Pecci guidò a lungo la locale diocesi proprio negli anni del Risorgimento, mito rinverdito quest’anno per il secondo centenario della nascita: lo si ricorda come il papa della Rerum novarum, aperto alla questione sociale e al mondo moderno, perfino un po’ liberale al modo che può essere liberale un papa. E gli si dedicano centri, convegni e studi che vorrebbero rivendicarne la positiva eredità.
In verità Pecci era vescovo quel 20 giugno del 1859 quando i mercenari di Pio IX, successivamente da costui premiati per le uccisioni, i saccheggi e gli stupri, esercitarono feroci vendette papaline sul popolo perugino. La tradizione cattolica ha voluto tenerlo sempre al riparo dalle accuse di complicità con la strage, cui testimonianze americane diedero notorietà internazionale, ma è certo che non ne prese mai le distanze e guidò la fase di reazionaria e clericale riscossa che seguì quelle orribili giornate di Perugia.
Ora il prete Nitoglia, in un suo articolo del febbraio scorso, ci rende edotti di altri aspetti della personalità del cardinale Pecci che rendono una sua complicità con gli sgherri papalini se non probabile almeno verisimile. È infatti evidente la consonanza delle sue posizioni con quelle del Mastai Ferretti postquarantottesco, promulgatore del Sillabo che tra l’altro condannava la libertà di coscienza, di stampa e d’opinione, come pure gli Stati che assumessero come propri questi principi liberali. Scrive il Nitoglia, citando mons. Antonio Piolanti, ex rettore della Lateranense e postulatore della causa di beatificazione di Pio IX: “La prima idea del Sillabo risale al card. Gioacchino Pecci, il futuro Leone XIII, che nel novembre 1849, come arcivescovo di Perugia, durante il Concilio provinciale di Spoleto, propose di chiedere al Papa la condanna in globo degli errori moderni concernenti la Chiesa, l’autorità, la proprietà”.
Secondo il prete tradizionalista tutto ciò sfata “la leggenda di un Leone XIII liberale in contrapposizione a un Pio IX antiliberale: il Manifesto dell’antiliberalismo, o Sillabo, è stato ideato per primo dal futuro Leone XIII nel 1849, un anno dopo i moti liberali in Italia e circa quindici anni prima della sua promulgazione avvenuta l’8 dicembre 1864 da parte di Pio IX”. Così continua Nitoglia: “L’8 dicembre del 1864, nel 10° anniversario della proclamazione del dogma della Immacolata Concezione di Maria SS., Pio IX promulgava il Sillabo, dopo 12 anni di lavoro e 15 dall’idea lanciata per primo da mons. Pecci. Gli errori condannati riguardavano soprattutto il panteismo, il naturalismo, l’indifferentismo e il razionalismo, che sono il principio e fondamento teoretico del liberalismo. Inoltre il Papa condannava il social-comunismo, la massoneria e le sètte segrete, il cattolicesimo-liberale, la separazione tra Stato e Chiesa, che è l’anima del catto-liberalismo”. Su tutto ciò Pecci non cambiò idea neanche quando divenne papa: “Leone XIII, infine, riprese il Sillabo e lo citò ampiamente nella sua enciclica Immortale Dei, che espone i principi cattolici sui rapporti tra Stato e Chiesa e condanna gli errori del separatismo liberale e catto-liberale (“libero Stato, in libera Chiesa, ma separatamente”), il quale vuole la separazione tra le due Società perfette nell’ordine naturale e soprannaturale. Onde l’accusa di liberalismo nei confronti di Leone XIII cade totalmente”.

Da "micropolis on line", 17 novembre 2010

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