28.12.10

La lingua di tutti gli Iddii (di Gian Luigi Beccaria)

Nel numero 1742 di “Tuttolibri”, uscito con “La Stampa” del 4 dicembre 2010, la rubrica di Gian Luigi Beccaria “Parole in corso” è dedicata alla vicenda linguistica dell’Ottocento ed è un piccolo capolavoro di dottrina, di sintesi e di chiarezza comunicativa (S.L.L.)
Isaia Graziadio Ascoli

Stiamo per celebrare i 150 anni dell'Unità, e quanto alle questioni della lingua ben sappiamo quanto abbia contato l'autorevolezza delle proposte del Manzoni. Il modello fiorentino conquistava grazie a lui una posizione molto forte, non solo in opere narrative (penso alla viva toscanità di Collodi e di Fucini) ma anche nella manualistica (l'Artusi, per citare uno dei best-seller del secondo Ottocento, andrà a Firenze a cercare la conferma delle sue voci gastronomiche). Un fatto minimo, ma indicativo: come precettore del principe Vittorio Emanuele si sceglie il manzoniano Luigi Morandi, e fiorentino era il cameriere Casimiro Casaglia, che spesso gli «serviva da vocabolario».
L'esempio dei Promessi sposi aveva in concreto aiutato a stabilizzare tante oscillazioni: pensiamo alla riduzione del dittongo uo a o (non campagnuolo ma campagnolo), alla semplificazione di varianti (non più dee o debbe ma deve; non veggo o veggio ma vedo), pensiamo a lui e lei per egli, ella, al cosa interrogativo in luogo di che o che cosa, alla 1ª persona dell'imperfetto indicativo in -o anziché in -a (amava/amavo). Però, quanto al lessico, nella maggior parte dei casi la forma toscana esce sconfitta, anche perché certi sinonimi non toscani erano diffusi in modo più compatto nel resto d'Italia: vedi il caso di anello/ditale, infreddatura/raffreddore, gattoni/orecchioni, il tocco/l'una, bizze/capricci, levarsi/alzarsi, cencio/straccio, granata/scopa ecc. Vince la seconda opzione. Era stato profetico il grande Ascoli a pensare che soltanto il concorso di tutte le parlate regionali avrebbe costituito una unità di lingua, raggiunta attraverso la compartecipazione di tutte le forze della Penisola. Così del resto tanti profetici e illuminati non toscani avevano polemicamente tuonato nei loro scritti: contro il Tommaseo per esempio che in Fede e Bellezza, secondo Cattaneo, aveva cercato di sollevare le «ortolane», le «pettègole» e i «raccattoni da Fièsole e da Camàldoli contro la lingua di una nazione».
«Il patrimonio della lingua - scriveva ancora Cattaneo - deve raccogliersi da tutti i libri, da tutti i labbri, senza distinzione di secoli e di provincie»; e Carlo Dossi nelle Note azzurre: «Riguardo alla unità della lingua, io mi dico fautore del sistema di unificazione politico dei romani che non distruggeva gli Iddii delle altre nazioni, sostituendovi a forza i propri, ma aggiungeva i propri agli altrui - tutti accogliendo in un unico tempio».

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