1.12.10

La morte di Paolo Vinti, quasi una metafora (di Osvaldo Fressoia - "micropolis on line", 30 novembre 2010)

Scrivo di getto, dopo un funerale “straordinario” e di popolo, svoltosi dentro una bellissima ex chiesa, giustamente sconsacrata, stipata di sentimenti e commozione autentici. Le lacrime degli amici e dei compagni più stretti, quelli di una vita intera, si sono mischiate placidamente e senza inutili ritegni, con quelle del sindaco, dell’assessore, dell’esponente di partito e delle istituzioni e, soprattutto, si sono intrise con l’affetto di tutti quelli che Paolo lo hanno conosciuto e frequentato nelle assemblee come nei cortei affollati e gioiosamente rumorosi di un tempo, o in quelli più selettivi e pensierosi di questi anni (decenni) difficili. Non c’era assemblea dove Paolo non fosse presente e non c’era incontro che non vedesse un suo intervento, spesso con analisi, solo apparentemente surreali, altre volte invece, tendenti ad una certa astrazione teorica della politica e della rivoluzione, ma ove sempre si fondevano razionalità, passione e sentimenti. Per lui, infatti, il Comunismo è stato sempre come un rapporto d’amore e come una società in cui cielo e terra si dovessero congiungere - “la coniugazione con il Cosmo” la chiamava.
Non era possibile passare impunemente per Corso Vannucci - che ci fosse il sole o la pioggia - senza incrociare le sue stravaganti cravatte al vento e, soprattutto, il suo saluto, anche rumoroso e da lontano, che ci avvertiva delle prossime elezioni in Bolivia o in Egitto, o della imminente caduta di Berlusconi. In ogni situazione, anche la più disperata, Paolo riusciva a vedere una sinistra “sicuramente” e nuovamente vincente, come in una sorta di ottimismo disperato che chiedeva da noi conferma, e forse altro, molto altro… ma che abbiamo, quasi sempre, fatto finta di non capire. Paolo, già giovanissimo, era stato un leader degli studenti medi, e successivamente anche di altro. La sua precocità politica, il suo “successo”, la sua brillantezza, la voracità delle sue letture e il desiderio di conoscenza lo portarono poi a viaggiare per il mondo (Berlino, Praga, Vienna, Managua, America …) e forse - pretendendo troppo da sé stesso - a sfidarlo, con l’entusiasmo e la sfrontatezza di chi sente, erroneamente, di averlo in mano, ma anche con la purezza e l’ingenuità di un Don Chisciotte delle nostre contrade e del nostro tempo. Il mondo, che già allora era diventato più complicato e più crudele di come allora ci appariva, ce lo restituì segnato dalla sconfitta e da un disagio interiore profondo e doloroso che lo hanno accompagnato fino all’ultimo. Un disagio ed una sofferenza che trasparivano dietro le cose che successivamente ha continuato a comunicarci, in molti modi - aveva pubblicato, fra l’altro, anche un paio di libri davvero singolari -, ma che paradossalmente ce lo hanno reso più caro e insostituibile.
L’ex sindaco Locchi ha commentato che Corso Vannucci “non sarà più lo stesso senza Paolo”. Non sono d’accordo: tutta Perugia non sarà più la stessa. Quella stessa Perugia, colta, sensibile, popolare e di sinistra che stamattina c’era tutta, come in una grande bellissima manifestazione, con tutte  - ma proprio tutte -  le proprie anime e sfumature, che cantava “Bella ciao” con le lacrime agli occhi perché avvertiva, quasi in un sussulto emotivo, che oltre a te, caro Paolo, aveva perduto, già da tempo, la propria anima.
Grazie Paolo, anche per questo… Con emozione.

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