Sulla stampa di dicembre e sulla rete c’è ampia traccia di una polemica che attraversa Legambiente e viene usata contro l’associazione ambientalista e contro la sinistra soprattutto dai grillini e dai radicali. La materia della contesa è l’impianto che Legambiente, tramite la società Azzero Co2 srl, che dall’associazione è controllata e ne è in qualche modo il braccio esecutivo, intende realizzare in Puglia, a Cutrofiano. Il progetto che riguarda 26 ettari di terreno mira a dimostrare la possibile coabitazione tra la produzione agricola e quella elettrica. Il progetto è contestato da Italia nostra, dai radicali e da alcuni comitati locali, che ne criticano, oltre alla scarsa efficacia rispetto all’obiettivo indicato, l’impatto sul paesaggio, perché determinerebbe “inquinamento visivo”. Diciotto circoli dell’associazione, soprattutto toscani, con capofila quello di Manciano (Grosseto) hanno contestato il progetto e parlato di “conflitto di interesse”. I vertici nazionali, a loro volta, hanno risposto duramente, parlando di “provocazione” e denunciando come falsità e diffamazioni alcune delle notizie diffuse dal circolo di Manciano che si sarebbe posto fuori dall’organizzazione. In realtà la denuncia va oltre, lascia intravedere non solo un conflitto d’interesse in Lega ambiente, in cui le finalità ideali e politiche configgerebbero con l’utile economico, ma anche degli interessi personali e privati di alcuni dirigenti di Legambiente.
Infatti all’Azzero Co2 dovrebbe la Exalto Energy & Innovation s.r.l. , una società con sede a Palermo di proprietà (a parte alcune quote di minoranza) per metà di Giovanni Silvestrini del Comitato scientifico Legambiente e per l’altra metà della MG & partners s.r.l. con sede in Roma, che è a sua volta proprietà di Mario Gamberale del Consiglio nazionale Legambiente, quello tra i dirigenti che più si è speso nel difendere la proposta. La Exalto funzionerebbe da braccio della Concentrix solar, la società tedesca che produce i pannelli e le loro peculiari tecnologie. Il presidente di Legambiente ha risposto che “la società di capitali è uno strumento per realizzare sul mercato gli obiettivi dell’associazione”, che non vede alcun conflitto di interesse nel fatto che “alcuni dirigenti abbiano società nel settore” e che anzi è “un modo per mettere in pratica le nostre scelte”.
Non è la prima volta che si parla di interessi di Legambiente e di alcuni suoi dirigenti in interventi soprattutto in campo energetico: se ne ragionò non poco negli anni 2002-2003 a proposito di alcuni grandi istallazioni eoliche che vedevano in stretta collaborazione dirigenti dell’associazione storica dell’ambientalismo di sinistra con il ministro Matteoli. Anche allora i vertici di Legambiente difesero strenuamente “l’ambientalismo del fare”.
Senza speciali competenze esporrò qui l’idea che mi sono fatta in materia. A me sembra che il progetto pugliese sia sostanzialmente buono. Per quel che ne ho capito (in rete si trova parecchio) l’impatto paesaggistico che i contestatori prevedono è esagerato e l’istallazione si può fare senza troppo disturbare. Resta però un problema di fondo. Quest’ambientalismo del fare, in cui Legambiente si pone come soggetto economico, non sarà figlio della berlusconiana “politica del fare” e non seguirà il modello della sua compagnia di ventura dei Lunardi, dei Bertolaso & simili, produttrice incessante di conflitti di interesse?
In verità l’idea che associazioni nate senza scopo di profitto, con finalità politiche, sociali o etiche, acquisiscano spirito e ruolo d’impresa precede l’avvento di Berlusconi: è stata Cl con la sua Compagnia delle Opere ad inaugurarla ed impiantarla con successo in varie realtà italiane. L’arcipelago di società, cooperative, consorzi eccetera, che intorno all’associazione fondata da don Giussani si è formato, è ormai un impero economico e spesso si muove con grande spregiudicatezza.
Io trovo che l’operazione sia molto rischiosa e che sia sempre in agguato la possibilità che i mezzi sovrastino i fini, che cioè si sacrifichi il rigore etico e politico alle esigenze di finanziamento delle strutture (sedi, apparati ecc.). E tuttavia, nel contesto attuale, alcuni rischi di questo tipo si possono correre se c’è il massimo di trasparenza e nell’associazione l’elemento di partecipazione e controllo democratico prevale sulle incrostazioni burocratiche e di potere. Ma questa dei dirigenti che si trasformano in imprenditori anche in proprio “per mettere in pratica” mi pare francamente da respingere, mi pare un caso lampante di conflitto d’interesse. Io credo invece che, per regola inviolabile, ci debba essere assoluta incompatibilità tra i ruoli dirigenti in associazioni ambientalistiche e la partecipazione interessata a imprese economiche del settore.
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