13.1.11

Dai "Quaderni" di Leonardo Sciascia. Il libro di Ruggero( da “L’Ora” 25 giugno 1966)

Mosaici della Martorana, Palermo, Re Ruggero incoronato
I monumenti che ci restano del regno normanno di Sicilia hanno come peculiarità morale ed estetica la tolleranza religiosa e politica in cui si sono realizzati, il “dialogo” tra le culture mediterranee da cui originalmente (e finora irrepetibilmente) sono sorti. E un monumento di questa grande ed unica stagione della storia mediterranea si può considerare anche “Il diletto di chi è appassionato per le peregrinazioni attraverso il mondo” di Abu Abdallah Muhammad ibn Muhammad ibn Idris, una delle opere geografiche tra le più scrupolose e relativamente attendibili del medioevo, e forse la più compiuta, comunemente nota come Il libro di Ruggero di Edrisi o Idrisi per il giusto accostamento che la posterità operò tra il nome del geografo arabo che condusse l’enorme lavoro e quello del sovrano normanno che lo volle e lo patrocinò. E della volontà di Ruggero, della generosità con cui protesse il lavoro, Idrisi fa ampia e commossa dichiarazione nella premessa: “Alla nobiltà del tratto egli accoppia la bontà dell’indole: ai benefici la cordialità. E con ciò l’animo valoroso, l’intelletto lucido, il profondo pensiero, la imperturbabile calma, il diritto vedere e provvedere, e nel maneggio degli affari, l’abilità che vien dal sommo acume dell’ingegno. I suoi provvedimenti sono strali che mai non falliscono: gli affari più intralciati gli tornano agevoli a ravvivare; a tutto il governo ci sopravvede; i suoi sonni valgono quanto le veglie della comune degli uomini; le sue sentenze sono le più giuste che magistrato abbia mai pronunziate: i suoi doni rassembrano mari profondi e copiosissime piogge. Noverar poi non sapremmo le sue cognizioni nelle discipline matematiche e nelle politiche…Tra le sublimi dottrine e i nobili intendimenti di Ruggero è da notare che quando si estesero le province del suo reame e ingigantirono i propositi del suo governo: quando i paesi italiani gli obbedirono e i popoli accettarono la sua sovranità, gli piacque di appurare le condizioni de’ suoi stati e ritrarle con la certezza della riprova. Saper volle per filo e per segno del suo reame e confini, le vie di terra e di mare, in qual clima giacesse ciascuna provincia, quali mari e golfi le appartenessero. Non contento a questo, bramò di conoscere tutti gli altri paesi e regioni dei sette climi nei quali scienziati si accordano a divider la Terra e i traduttori e i compilatori li segnano in loro pergamene, e quali e quante parti di ciascuna regione tornassero a ciascun clima e si dovessero in quello comprendere e annoverare”.
L’opera veniva quindi ad obbedire a una esigenza pratica e a una sete di conoscenza: ma, dice giustamente Umberto Rizzitano, “com’è facile immaginare le notizie più interessanti ed anche le più attendibili ed originali sono quelle riguardanti l’Africa settentrionale, la Spagna, l’Italia insulare e peninsulare per le quali Idrisi ha potuto fare tesoro quasi sempre di informazioni dirette ed esperienze personali”, che “gli vennero invece a mancare quando si trattò di descrivere la Germania, la Polonia e la Russia…”, e a ciò forse è da aggiungere la fretta di finire l’opera nelle sue ultime parti, stante le condizioni di salute di Ruggero, che infatti moriva qualche settimana dopo il compimento del Libro.
Non sappiamo fuori e dopo il regno normanno quale fortuna l’opera di Idrisi abbia avuto nel mondo latino; e del resto, tanti rapporti, legami ed imprevisti della cultura araba verso la nostra ancora ci sfuggono (e basti pensare che l’ipotesi di uno studioso spagnolo su certa escatologia musulmana passata nella Divina Commedia sembrava, appena pochi anni fa, poco serie se non addirittura ridicola: e ora ha trovato invece prove concrete). Ma sappiamo che nel 1592 usciva a Roma un compendio del Libro e che nei primi del secolo successivo c’era già una traduzione latina. Nel 1632 il Padre Domenico Magrì, maltese, nel Collegio Romano, traduceva dall’arabo ad verbum la parte relativa alla Sicilia; e ne trovò copia manoscritta, nella biblioteca del dottor Domenico Schiavo, Francesco Tardia che, annotandola per come sapeva e poteva, la pubblicava nell’ottavo tomo degli “Opuscoli di autori siciliani” (Palermo 1764). Successivamente, tra il 1836 e il 1840, usciva in Francia una traduzione integrale. Poi Michele Amari, nella “Biblioteca arabo-sicula” (Torino, 1880-81), traduceva la descrizione della Sicilia, cui si aggiungeva più tardi, nella traduzione di Celestino Schiapparelli, quella dell’Italia di terraferma (Atti dell’Accademia dei Lincei, 1883),
Ora, a celebrare i vent’anni dell’autonomia siciliana, ad iniziativa di un comitato dell’Assemblea Regionale, l‘editore Flaccovio ha pubblicato Il libro di Ruggero nelle parti che riguardano l’Italia: in bella edizione, e anzi con una certa giuccheria. La traduzione, che offre la possibilità di una scorrevole lettura (mentre più faticosa sarebbe la lettura delle bellissime traduzioni di Amari e Schiapparelli) è del professor Umberto Ruizzitano; e anche la breve e precisa introduzione, e le note che soprattutto riguardano l’identificazione dei luoghi e per le quali il nuovo traduttore dichiara il suo debito all’Amari e allo Schiapparelli, la cui fatica in questo senso è stata esemplare.
Presentando il libro, l’onorevole Lanza, presidente dell’Assemblea Regionale, dice che l’opera, nel rifiuto delle suggestioni leggendarie e mitiche, si può considerare come la prima moderna; e ricorda che fu concepita nel palazzo che è oggi sede dell’Assemblea regionale siciliana. E se un tale richiamo vuole essere un avvertimento, un monito, noi malinconicamente lo sottoscriviamo.

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