Tra il 1929 e il 1930 Federico Garçia Lorca soggiornò negli Stati Uniti, soprattutto a New York, non senza un passaggio a Cuba e un viaggio nel Vermont, onde scaturì la creazione poetica delle Poesie del Lago Eden Mills. Nel 1993, nella sua collana di piccoli epistolari, Rosellina Archinto pubblicò, con la cura di Claudia Tacchi e la prefazione di Angela Bianchini, il volumetto delle Lettere da New York (1929 – 1930). Si tratta di 15 lettere dirette ai familiari (provenienti soprattutto dalla metropoli Usa), cui è stata aggiunta in appendice una conferenza che illustra i versi di Poeta en Nuova York. Le impressioni del poeta sul dinamismo americano, sul miscuglio di razze, sulla crisi economica che esplode proprio nel tempo del suo soggiorno, sono di grande interesse. Una prosa familiare, ma intensa e affascinante, rende il libretto prezioso. Ne proporrò in questo blog più di un brano, cominciando da questo stralcio dalla prima delle lettere raccolte, quella ai genitori di venerdì 28 giugno 1929. (S.L.L.)
Parigi mi ha fatto una grande impressione, Londra ancora di più, e ora New York mi ha colpito come una mazzata in testa.
Avrei bisogno di duecento pagine per raccontarvi le mie impressioni.
Il viaggio in mare è stato favoloso. Il transatlantico pesava 46.567, e il mare non si è mosso per tutti i sei giorni di viaggio. La vita sulla nave è allegra e tutti si trattano con familiarità. Mi ha fatto compagnia un amichetto di cinque anni, un bellissimo bambino ungherese che andava per la prima volta a trovare suo padre, che se ne era andato prima della sua nascita. giocava con me e mi si è affezionato tanto che è scoppiato a piangere quando ci siamo separati, e non c’è bisogno di dirvi che ho pianto anch’io. Questo è l’argomento della mia prima poesia; questo bambino che non vedrò mai più, questa rosa d’Ungheria, che entra nel ventre di New York in cerca della propria vita, che può essere crudele e felice, e dove io sarò un ricordo lontanissimo insieme al ritmo dell’immensa nave e dell’oceano.
L’arrivo in questa città annienta, ma non spaventa. Mi ha sollevato il morale vedere come l’uomo attraverso la scienza e la tecnica può riuscire a impressionare come un elemento puramente naturale. E’ incredibile. Il porto e i grattacieli illuminati si confondono con le stelle, le migliaia di luci e i fiumi di auto offrono uno spettacolo unico al mondo. Parigi e Londra sono due paesini se si confrontano con questa Babilonia palpitante e che rende folli. All’arrivo della nave ebbi una grande sorpresa. Ad aspettarci c’era un gruppo di spagnoli… Con me si sono comportati e si stanno comportando in modo esagerato, e così tutta la colonia spagnola. Ora mi rendo conto di quanto è bello essere un uomo famoso che comincia ad essere conosciuto: tutte le porte gli si aprono e tutti lo trattano con grande considerazione.
Federico de Onis è stato, come sua moglie, affettuosissimo. Sono ciò che si dice due miei ammiratori, due lorchisti come dicono loro.
Lui, che è professore alla Columbia, mi ha risolto il problema più importante. Ora sono studente della Columbia University e vivo qui in un padiglione pieno di ragazzi nordamericani.
Federico non ha voluto che andassi alla Residenza Internazionale, perché, come lui diceva, lì sono tutti stranieri e ci sono molti sudamericani, e parlerei sempre spagnolo. “Bisogna circondare il poeta di inglesi”, diceva, “perché non abbia altra scelta che sforzarsi”.
L’università è una meraviglia. Si trova lungo il fiume Hudson nel cuore della città, nell’isola di Manhattan, che è il posto migliore, molto vicino alle strade principali. E, tuttavia, è deliziosa per il silenzio. La mia stanza è al non piano e dà sul grande campo sportivo, di erba verde e con statue.
Di f ianco, e sotto le finestre delle stanze di fronte, passa l’immensa Broadway, la strada che attraversa tutta New York.
Andare in giro, una volta passata la prima impressione e il primo spavento, è molto facile, più facile che a Parigi, e naturalmente molto più che a Londra, perché le strade hanno il loro numero e tutta la città è ripartita con criteri matematici e quadrettata, unico modo di organizzare il caos del movimento. Insomma, già mi trovo bene e mi sono ambientato. New York è allegrissima e accogliente. La gente è ingenua e affascinante. qui mi sento bene. Meglio che a Parigi, che trovo un po’ putrida e vecchia.
Ieri andai con Leon Felipe (poeta n.d.r.), con Maroto (pittore e disegnatore n.d.r.) e un certo signor Flores, direttore di una rivista edita in inglese su cose spagnole, nel centro dell’immensa Broadway. Lo spettacolo di Broadway di notte mi ha lasciato senza fiato. Gli immensi grattacieli si vestono da cima a fondo di colorate insegne luminose che cambiano e si trasformano a un ritmo inusuale e stupendo. Getti di luci blu, verdi, gialle, rosse, cambiano e saltano fino al cielo. Più alti della luna, si spengono e si accendono nomi di banche, hotel, automobili e case cinematografiche, la folla variopinta con maglioni colorati e fazzoletti vistosi va su e giù in cinque o sei diversi rivoli, i clacson delle auto si confondono con le grida e con la musica delle radio, e gli aeroplani illuminati passano pubblicizzando cappelli, vestiti, dentifrici, c ambiando le scritte e suonando grandi trombe e campane. E’ uno spettacolo superbo, emozionante, della città più sfrontata e moderna del mondo.
Bene, quando ero ormai completamente incantato, dalla finestra di un grande ristorante esce un vocione che dice: “Federrico, Federrico”, e vedo un ragazzo con un maglione di seta rosso che fa un salto e si lancia in strada a rischio di rompersi una gamba, e mi abbraccia. Era l’inglese Colin Hackforth, che era stato a Granada ed era diventato mio amico intimo. Mi ha fatto un piacere enorme perché dovete sapere che incontrarsi a New York è difficilissimo e insolito. E’ così difficile come per due pesci incontrarsi in alto mare.
"L’arrivo in questa città annienta, ma non spaventa"... niente di più vero! New York è una città indescrivibile! Vibra di una vita pulsante che ti rimane dentro... grazie per aver pubblicato questo articolo!
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