I sette minuti finali de Il caimano (2006), un film ormai classico ispirato alla vicenda umana e politica di Berlusconi, non sono andati in onda nella trasmissione della Dandini. La direzione generale ridicolmente proponeva: “Solo tre minuti”. Nanni Moretti, il regista, titolare dei diritti, ha replicato che le opere dell’ingegno non si vendono a peso come il formaggio dal salumiere.
Nell’occasione è venuta alla luce un’altra più grave censura che è, nello stesso tempo, spreco di pubblico denaro. Moretti, dopo il passaggio nelle sale cinematografiche e nelle tv a pagamento, aveva voluto che solo la Rai, e nessun altro, potesse trasmettere il suo film nei canali generalisti. Nel 2008 aveva pertanto stipulato un contratto che, per un milione e mezzo di euro, prevedeva cinque passaggi de Il caimano in cinque anni, fino a tutto il 2013.
Il milione e mezzo è stato regolarmente pagato dalla Rai, ma in Tv il film non lo si è ancora visto. La messa in onda su Rai Tre era stata programmata per il 7 febbraio scorso, ma il direttore generale l’ha bloccata: al posto de Il caimano è stato trasmesso Le vite degli altri.
Il consigliere d’amministrazione Rai, Rizzo Nervo, ha chiesto una data e un orario al direttore della Rete Uno, che in passato si era detta disponibile alla messa in onda. Mazza ha proclamato: “Lo manderò in onda quando lo riterrò opportuno”.
Farsesco.
Il critico cinematografico del “Messaggero” Francesco Alò, in una intervista a Radio radicale, si è detto convinto del valore emblematico della sequenza finale in cui “il caimano” sfida i giudici che lo processano e lo condannano ed incita all’eversione. Di quella sequenza l'emittente pannelliana aveva appena riprodotto il sonoro.
“Quei sette minuti, con i flash all’indietro e in avanti, – ha spiegato Alò – investono un arco di tempo piuttosto ampio. Paradossalmente l’ascolto radiofonico senza la visione, evidenzia con più forza l’immutabilità del messaggio. Ne fanno parte un nemico (la sinistra, triste, invidiosa e cattiva, capace solo di odiare), il popolo che ha votato e il capo del governo, che in grazia dell’unzione ricevuta rifiuta ogni giudizio”.
“Quei sette minuti, con i flash all’indietro e in avanti, – ha spiegato Alò – investono un arco di tempo piuttosto ampio. Paradossalmente l’ascolto radiofonico senza la visione, evidenzia con più forza l’immutabilità del messaggio. Ne fanno parte un nemico (la sinistra, triste, invidiosa e cattiva, capace solo di odiare), il popolo che ha votato e il capo del governo, che in grazia dell’unzione ricevuta rifiuta ogni giudizio”.
Il critico aggiunge il riferimento a un altro film, Il portaborse di Luchetti del 1991, di cui Moretti fu produttore e in cui impersonò da attore il ruolo del ministro Botero, e nota una evidente continuità tra Botero e il caimano. Il politico seduttore, che dichiarava guerra alla sinistra triste e ne mostrava la corruttibilità usando denaro e sesso, è un’altra faccia del caimano golpista. Il messaggio del primo si presentava come più disinvolto e “creativo”, quello del secondo ha una natura robotica, è frutto di una coazione a ripetere, ma il legame tra i due personaggi resta assai forte.
Credo che Alò abbia ragione e che la sua osservazione sia più “politica” di quanto lui stesso non creda. La discesa in campo di Berlusconi s’inaugurò con l’evasione televisiva, con l’esibizione del lusso, con l’apoteosi cinica di un’opulenza acquisita, con la mercificazione massificata della sessualità: il tutto contrapposto al grigio moralismo comunista che, come mostrava il primo spot di Forza Italia, avrebbe trasformato l’Italia in una landa desolata se Occhetto avesse vinto. La presenza in campo del Cav si mostra oggi soprattutto come potere refrattario a ogni regola, come esplicita eversione dei principi democratico-repubblicani, dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, del primato del lavoro sulla ricchezza, dell’interesse collettivo su quello individuale. Ma continua ad esaltare l'etica della "velina"; proprio oggi la celebre manicure politica Nicole Minetti, dispensatrice di inviti alle cene del bunga bunga, ha lanciato un appello pubblico alle donne italiane: usate la vostra bellezza. Insomma evasione ed eversione restano inseparabili nel berlusconismo. La sua vittoria, non solo elettorale, è stata resa più facile dal cedimento di una parte della sinistra sugli stessi fondamenti etici e politici della convivenza sociale: non ci siamo dimenticati i tanti che nel tempo ci hanno raccontato che per battere Berlusconi bisognava fare come lui.
Alcuni segni fanno oggi pensare a una presa di coscienza molto più diffusa che in passato sulla necessità di combattere non solo il capo del governo e il suo Pdl, ma il “berlusconismo": essi vanno dai consensi crescenti che ottiene l’analisi-racconto che dell'Italia fa Nichi Vendola alle grandi manifestazioni di oggi, delle donne e degli uomini.
In verità nel berlusconismo tutto (o quasi) si tiene, dalla comunicazione truffaldina al maschilismo, dall’insofferenza verso la cultura all’odio per gli operai specie quando si organizzano e lottano.
I berlusconidi, come un tempo i fascisti, sono minoranza, ma una minoranza che, con la sua assoluta mancanza di principi e di scrupoli morali e con i potenti mezzi che ha avuto ed ha a disposizione, è riuscita ad esaltare i peggiori istinti del ceto medio bottegaio, a indurre all’opportunismo servile ampi settori di popolo minuto, ad attrarre con regalie, minacce e promesse molti poteri forti (cardinali, industriali, banchieri, finanzieri, corporazioni professionali), a infettare l’intellettualità e l’intero ceto politico.
L’attuale situazione somiglia a quella che seguì nel 1924 il delitto Matteotti, ove tutti quelli che hanno ottenuto vantaggi, anche modesti, dicono “vorrei ma non posso”. Intanto si stringe intorno al capo del governo la peggiore canaglia e torna in campo qualche “consigliori” che lo incita a reagire, dando il peggio di se stesso. Per esempio il grosso giornalista che due anni fa aveva addirittura fondato un partito antiabortista, che scavalcava i preti nelle tirate moralistiche contro coppie di fatto, omosessualità, edonismo dilagante, oggi si mette al servizio del gran puttaniere e scaglia i suoi strali contro giudici e “puritani”.
Tutto ciò potrebbe non bastare a Berlusconi e alla sua volontà di tirare dritto. Rispetto al Mussolini del 25 il caimano ha almeno trent’anni di più ed è imbolsito. Il suo stile di vita lo affatica: chimica ed estetica aiutano, ma fino a un certo punto. In Italia d’altra parte non funziona quasi niente e la crisi rende impossibili politiche clientelari di massa.
Può dunque crescere nei prossimi mesi un’opposizione sociale più forte, può produrre effetti in Parlamento e condurre a nuove elezioni, che con tutta evidenza il caimano teme.
Ma la fine politica di Berlusconi non comporta automaticamente la fine del berlusconismo, i cui effetti deleteri si protraranno nel tempo e richiederanno per essere eliminati una lunga e dura battaglia culturale prima ancora che politica.
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