E’ superfluo ricordare come lo stato moderno è nato storicamente come stato di diritto, ben prima che come stato democratico; come monarchia costituzionale non come monarchia rappresentativa. Più esattamente esso è nato come stato di diritto limitato da divieti (o doveri negativi di non fare) e non anche vincolato ad obblighi (o doveri positivi di fare). Il nucleo essenziale delle prime carte fondamentali – dall’antica Magna Charta inglese alle dichiarazioni settecentesche dei diritti, fino agli statuti e alla Costituzioni dell’Ottocento – è formato da regole sui limiti del potere e non sulla sua fonte o le sue forme di esercizio. Ma anche assiologicamente, e non solo cronologicamente, la limitazione legale del potere sovrano precede la sua fondazione democratico-rappresentativa. La prima regola di ogni patto costituzionale sulla convivenza civile non è infatti che su tutto si deve decidere a maggioranza, ma che non su tutto si può decidere (o non decidere), anche a maggioranza.
Nessuna maggioranza può decidere la soppressione (o non decidere la protezione) di una minoranza o di un singolo cittadino. Sotto questo aspetto lo stato di diritto, inteso come sistema di limiti sostanziali imposti legalmente ai pubblici poteri a garanzia dei diritti fondamentali, si contrappone allo stato assoluto, sia esso autocratico o democratico. Anche la democrazia politica più perfetta, rappresentativa o diretta, è infatti un regime assoluto e totalitario se il potere del popolo è in esso limitato. Le sue regole sono senz’altro le migliori per determinare chi può decidere e come deve decidere (o consentire che si decida) che un uomo muoia o sia privato senza colpa della sua libertà, che pensi o scriva o non pensi o non scriva in un dato modo, che non si riunisca o non si associ con altri, che sposi o non sposi una data persona o resti ad essa indissolubilmente legato, che abbia o non abbia figli, che faccia o non faccia il tale lavoro, o altri simili cose. La garanzia di questi diritti vitali è la condizione indispensabile della convivenza pacifica. Per questo la loro lesione da parte dello stato giustifica non semplicemente la critica o il dissenso, come per le questioni non vitali su cui vale la regola della maggioranza, ma la resistenza all’oppressione, fino alla guerra civile.
Da Diritto e ragione.Teoria del garantismo penale, Laterza, 1989.
Nessun commento:
Posta un commento