24.2.11

Porta la luce ed ama il buio. Una mia poesia d'incerta datazione.

Ho perso il conto degli anni e non riesco a datare questa mia vecchia poesia (ne scrivo assai di rado) casualmente ritrovata nella memoria del pc. Il periodo dovrebbe comunque essere tra il 2000 e il 2003. Quando la scrissi non mi piacque. Anche per questo – credo – ne dimenticai l’esistenza. Ora la trovo bella e me ne compiaccio. Chissà quanto a ragione. (S.L.L.).



Porta la luce ed ama il buio
Descrivono sul letto
il segno della pace
il tuo tronco diritto
e le tue gambe aperte al desiderio.
Sulla  tua schiena il segno della croce,
due rette fra di loro in perpendicolo
che percorro con l’indice,
indugiando sul centro,
mentre la voce tua perde gli spigoli
si fa più roca e scura,
più sommessa.

Ma non sei sottomessa, ordini “dimmi”,
intimi che dichiari
la tua bellezza, la curva che sembra
il mondo in sé comprendere,
intero, e oltrepassarlo.
Vuoi che descriva il monte dell’amore
che sta,
quasi a sfidare con il suo turgore
la mia malinconia,
la mia autoironia,
la mia quasi larvale inconsistenza;
vuoi che dica l’abisso che lo fende
con le sue ambrosie e con i suoi incidenti,
le viole e le orchidee;
vuoi che racconti  come m’entri nel sangue,
come la tua presenza
da tante estati solida, pressante,
si faccia ora fluida ed invadente,
bruciante come lava rosso vivo
e mi s’induri dentro;
vuoi che ti dica
come il tuo essere al mondo
diventi essere per me.

E io non ti resisto: “Sì signora”.
Ma pure a fronte di tanta bellezza
non c’è letteratura,
anatomia o botanica,
che paghi la penuria lessicale,
non c’è lingua comune né speciale.
Come nominerò l’attimo e il nodo
in cui m’illudo d’averti afferrata,
d’avere intraveduto il tuo segreto
(l’illusione che manca -
saggiamente mi recita il poeta)?

Lo dirò bottoncino o bocconcino,
cuor di cipolla oppure carciofino,
lo chiamerò  corallo,
diamante, rubino,
pietra filosofale?
Tutto molto banale, molto incongruo,
perfino goffo ed anche un po’ volgare.
Meglio le canzonette o l’arie d’opera,
sentimentali,
ruffiane quanto vuoi,
meglio le canzonacce a doppio senso,
meglio la matematica
che con le sue astrazioni e convenzioni
ti lascia credere
di dare al desiderio pausa e tregua.

Benissimo!
lo chiameremo punto,
l’infinitamente piccolo,
l’inafferrabile senza dimensioni,
il “punto e basta” ove vorrei posarmi
per darti ed ottenere appagamento
(altro che tregua, il desiderio cresce).
L’angolo spalancato dalle cosce
non sarà solo il segno della pace,
ma rappresenterà  “maggiore di”
dirà la tua grandezza, la tua gloria.
E la croce che parte dal tuo culo
segnata sul tuo dorso
varrà come il più dell’addizione,
quel più che tu mi celi
e che vorrei rubarti.

Mentre nell’oscuro della camera
guardavo eletta la linea del naso,
la piega delle labbra,
cercavo la parola ed il concetto
per il tuo sguardo furbo,
adolescente.
Era malizia e forse anche malìa,
tu, che ami il buio e che porti luce,
la mia maîtresse dagli occhi di bragia.

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