Nell’ottobre del 1979 Anna Proclemer provava al Teatro Nuovo di Spoleto. Era in allestimento La lupa di Giovanni Verga, che avrebbe debuttato ala Teatro Valle di Roma all’inizio del mese seguente. Proprio a Spoleto la intervistò Laura Lilli per “la Repubblica”. La grande Anna diceva: “A una lettura di un po’ di tempo fa, m’era parsa una donna in calore che corre dietro a un ragazzino. Oggi capisco quanto non capivo. La ‘gna Pina è una forza eroica, un mito, di quando non c’erano le comunicazioni di massa, il cinema e Marylin Monroe… E’ un archetipo, e le tre pagine di Verga sono perfette: sembrano Saffo, Anacreonte”.
La messa in scena, che ebbe la regia di Lamberto Puggelli, aveva il crisma dell’evento, perché presentava non poche novità e rappresentava una sfida verso un “mostro sacro”: Anna Magnani un paio di anni prima aveva impersonato “la Lupa” per la regia di Franco Zeffirelli.
Lo spettacolo iniziava con la Proclemer che, sola, di nero vestita, recitava un brano della Fedra di Gabriele D’annunzio; comprendeva una sorta di “coro” da tragedia greca, rappresentato dai canti siciliani, appassionati, di Rosa Balistreri; usava infine, come “sottotrama”, un altro testo verghiano, Nedda, in cui ha la figura della protagonista è tanto sottomessa e rassegnata quanto la ‘gna Pina è volitiva ed indomabile.
Questa commistione, in una sola messa in scena, di diverse figure femminili faceva pensare a un taglio “femminista”, che tuttavia Proclemer nell’intervista categoricamente negava: “Io non sono femminista. Mi spiego meglio. Condivido le rivendicazioni sociali: parità di diritti (ma anche di doveri). E se c’è stata una donna che ha vissuto da femminista sono io: diciannove anni lavoravo, mantenevo una famiglia… ma non ho simpatia per quei cortei che fanno “quei segni” con le mani. Il femminismo contrapposto al maschilismo lo trovo sbagliato, l’eguale e il contrario di un errore”.
Sull’accoppiata Verga-D’annunzio Proclemer proclamava: “Pirandello diceva che D’Annunzio è l’altra faccia di Verga. Vogliamo insistere sul mito e il mito che rappresenta la ‘gna Pina è, in termini aulici, Fedra”.
Lo spettacolo iniziava con la Proclemer che, sola, di nero vestita, recitava un brano della Fedra di Gabriele D’annunzio; comprendeva una sorta di “coro” da tragedia greca, rappresentato dai canti siciliani, appassionati, di Rosa Balistreri; usava infine, come “sottotrama”, un altro testo verghiano, Nedda, in cui ha la figura della protagonista è tanto sottomessa e rassegnata quanto la ‘gna Pina è volitiva ed indomabile.
Questa commistione, in una sola messa in scena, di diverse figure femminili faceva pensare a un taglio “femminista”, che tuttavia Proclemer nell’intervista categoricamente negava: “Io non sono femminista. Mi spiego meglio. Condivido le rivendicazioni sociali: parità di diritti (ma anche di doveri). E se c’è stata una donna che ha vissuto da femminista sono io: diciannove anni lavoravo, mantenevo una famiglia… ma non ho simpatia per quei cortei che fanno “quei segni” con le mani. Il femminismo contrapposto al maschilismo lo trovo sbagliato, l’eguale e il contrario di un errore”.
Sull’accoppiata Verga-D’annunzio Proclemer proclamava: “Pirandello diceva che D’Annunzio è l’altra faccia di Verga. Vogliamo insistere sul mito e il mito che rappresenta la ‘gna Pina è, in termini aulici, Fedra”.
Prodotta da Lucio Ardenzi, quella fu una messa in scena memorabile, non solo per me che della Proclemer ero spettatore innamorato e al teatro ho avuto, oltre a quella, pochissime occasioni di vederla, ma anche per l’attrice che, nel suo sito ufficiale, le dedica un capitolo della propria autobiografia artistica (http://www.annaproclemer.it/home.asp). Ecco cosa scrive, tra l’altro: “Lo spettacolo cominciava sull’aia abbastanza veristica di Paolo Bregni. Il giovane Fausto di Bella addormentato, seminudo, sulla paglia. Io, cioè Gnà Pina, cioè Fedra, che proclamava, con i bei versi dannunziani, la sua passione… Poi la vera Lupa di Verga aveva inizio, con i suoi balli, con i suoi canti che Rosa Balistreri intonava con la sua voce antica, primordiale. Io recitavo con uno stile “veristico”, molto spoglio e disadorno, ma l’ombra classica di Fedra dannunziana era rimasta a fare da legame segreto fra la fredda trentina e l’ardente siciliana.
A Palermo tuttavia quello spettacolo non poté vedersi. In una regione che pure non brillava per parsimonia si disse che “costava troppo”.
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