Nei libri di economia si legge che “ripresa c’è quando risale il PIL” e siccome il PIL è cresciuto nel 2010 del 4,8% dovremmo essere in piena ripresa, anche se si sprecano gli aggettivi per dequalificare la ripresa stessa, che sarebbe incerta, fragile, inadeguata, etc. etc. […]
In passato il premio Nobel Sen ha evidenziato come un criterio fondato sul solo PIL sia inadeguato; io stesso ho sostenuto che è molto più importante, anzi decisivo, un criterio fondato su tasso reale di disoccupazione (diverso da quello statistico assai sottostimato), ciò perché un’economia con bassa occupazione (un disoccupato ogni sette lavoratori almeno) è un’economia con un basso monte salari, una crescita dei consumi inadeguata che si riflette su una bassa dinamica della produzione, la quale a sua volta incentiva ulteriori risparmi dei costi (innanzitutto di lavoro) e quindi determina altra disoccupazione, in un circolo vizioso che si autoalimenta.
In un mondo in cui i consumi delle famiglie erano, nel 2008, il 61% del PIL mondiale, per produrre devi vendere e se l’occupazione e i salari sono depressi non vendi, o vendi poco, o vendi a credito, fenomeno che nel capitalismo è esploso negli ultimi decenni quando il debito del consumatore ha raggiunto livelli eccezionali (100% nell’eurozona, 130% in USA e Giappone, 140% in Canada, 180% in Gran Bretagna, etc.), che ti espongono alla lunga a rischio di bancarotta.
Ma ci sono altre critiche da fare al mero criterio del PIL: quando una casa è ridotta entra a far parte del PIL anche se rimane invenduta, quando un impianto è costruito entra a far parte del PIL anche se viene sottoutilizzato; […] se si considera normale un tasso di inutilizzo del 10/12%, quando si supera tale livello è evidente che una quota della ricchezza investita rimane improduttiva. E’ contabilizzata nel PIL ma non serve a nulla, è ricchezza sprecata.
Ma non è tutto: il dato sul PIL è quantitativo e nulla ci dice sulla qualità della produzione. A suo tempo questo argomento venne usato contro l’URSS, all’epoca della grande sfida per il dominio del mondo con l’occidente: i nostri economisti eccepivano che l’URSS cresceva a ritmi elevatissimi ma produceva scarti. Verissimo, epperò non si capisce perché questo argomento non lo si usi oggi davanti all’evidente perdita di qualità della produzione capitalistica (o di larga parte di essa): è questo un evidente caso di “bispensiero” (Erich Fromm) per cui un argomento va bene contro l’avversario ma non si applica a te.
A tal proposito si è rilevato che in Italia dal 2004 sono quadruplicati i sequestri di articoli difettosi, ma lo stesso avviene in Europa dove 2000 articoli sono stati ritirati dal commercio (60% cinesi) perché difettosi o pericolosi. Anche la Toyota, simbolo della efficienza quantitativa e qualitativa del capitalismo, ritira 8 milioni di auto dal mercato, perché difettose, mentre McDonalds ritira milioni di bicchieri dai suoi fast food perché cancerogeni. […]
Ancora l’industria petrolifera, la più capital intensive dell’occidente: quando nel 2010 ci fu il famoso disastro della BP nel golfo del Messico si scoprì, dalle e-mail degli ingegneri che lavoravano sulla piattaforma, che la situazione era da incubo: il cemento armato usato era schifoso e non c’era stato collaudo. In sintesi l’ossessione di accelerare i tempi e di ridurre i costi ti porta a produrre quote crescenti di beni difettosi, falsi, di bassa qualità e pericolosi. Qualcuno potrebbe dire: “E’ la concorrenza in funzione del profitto, bellezza!”, epperò, se questo è vero, è anche vero che le conseguenze di un simile tipo di concorrenza sono devastanti.
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