19.3.11

Fabrizio De André, l'anarchico che votò Dc.

Qualche mio collega sostiene che io sia un falso proletario. Proletario io? Né falso, né vero. A parte che spesso mi sono trovato in bolletta, perché non c'è gusto migliore che spendere i propri soldi, per bagordare e viaggiare con gli amici.
E d'altronde quella di proletario è pur sempre un'etichetta, sicché la rifiuterei in ogni caso, come tutte le etichette che via via hanno provato ad appiccicarmi addosso - di comunista, di democristiano, di socialista, di borghese, perfino di fascista.
Se sono, "più modestamente", un anarchico è perché l'anarchia, prima ancora che un'appartenenza, è un modo di essere. Lo ero, del resto, fin da bambino, quando preferivo giocare a biglie e, in anticipo sul mio mestiere futuro, inventare parolacce, per strada, con una banda di compagni, piuttosto che stare in casa a fare il signorino di buona famiglia - quale comunque ero, e quale sono rimasto per tanto tempo, vivendo sulla mia pelle la drammatica schizofrenia di chi abita contemporaneamente da entrambi i lati della barricata.
Fu grazie a Brassens che scoprii di essere un anarchico. Furono i suoi personaggi miserandi e marginali a suscitarmi la voglia di saperne di più.
Cominciai a leggere Bakunin, poi da Malatesta imparai che gli anarchici sono dei santi senza Dio, dei miserabili che aiutano chi è più miserabile di loro. Santi senza Dio: partendo da questa scoperta ho potuto permettermi il lusso di parlare anche di Gesù Cristo, prima in Si chiamava Gesù, poi in La buona novella, e oggi mi viene il dubbio che anche lui non fosse che un anarchico convinto di essere Dio; o, forse, questa convinzione gliel'hanno attribuita altri.
Intanto, da Bakunin ero passato a Stirner, e da una visione collettivista ne scoprii una più individualista: dopo tutto ci vuole troppo tempo a trovare gente con la quale vivere le mie idee e così me le vivo da solo. Con una sola regola da osservare, e la osservo proprio perché nessuno me l'ha imposta: anarchico non è un catechismo o un decalogo, tanto meno un dogma, è uno stato d'animo, una categoria dello spirito. E perciò scandalizzatevi pure, se tante volte ho cantato alle feste dell'Unità, ma di rado sono andato in televisione, se firmo contratti discografici che d'altronde non rispetto, e se ho perfino votato per la DC: tra i suoi candidati, in Sardegna, c'era un mio amico, una persona capace, quindi un pessimo politico. Che infatti non fu eletto.
"De Andrè, il suo tema non è organico", mi diceva sempre, al liceo, il mio insegnante d'italiano. Allora ho cercato di essere organico da adulto, nella coerenza di una ribellione che passa anche attraverso le proprie viltà e le proprie contraddizioni. Senza le quali, ecco l'organicità, un uomo non è un uomo, ma un burocrate, o una macchina, o un cinghiale laureato in fisica".

Da Amico fragile. Fabrizio De Andrè si racconta a Cesare G. Romana, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1991, pp. 60-61

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