3.3.11

In difesa della scuola pubblica (di Luca Canali).

Poeta, romanziere, latinista di vaglia, Luca Canali è autore di questo commento pubblicato ieri (2 marzo 2011) su "Liberazione". Oltre ad essere ottimamente scritto, contiene argomentazioni che non ho trovato altrove. (S.L.L.)
Luca Canali
Vi sono momenti in cui il “nostro” Presidente del consiglio - con l’immancabile ministro dell’istruzione al seguito - non suscita in me la consueta disapprovazione che spesso finisce con una incredula ilarità, ma al contrario un senso di pena: ciò accade quando circondato per le sue stesse responsabilità a tutti note da generali contestazioni, si comporta come una persona assediata che giunge a difendersi con argomenti che aggravano ulteriormente la sua situazione.
Ad esempio, un paio di giorni fa, parlando di scuola ad un’assemblea di cosiddetti Cristiano-Riformisti, per difendersi da quanti lo accusassero di un eccesso di “atti impuri”, ha detto (cito dal "Corriere della Sera" di sabato scorso): «Nelle mie ville nulla di male, solo un po’ di allegria, scherzi, balli, qualche cosa da bere». Il Presidente poteva tacere - e in proposito sarebbe stato molto meglio -; invece ha parlato, e quelle parole in un Paese in grave sofferenza per la disoccupazione, il precariato, il lavoro nero e grigio e i tagli di ogni genere alla disperata povertà di larghe fasce della popolazione quelle parole hanno suonato come uno schiaffo. Poteva dire «a casa mia». No. Ha voluto precisare che le sue non sono case ma ville dove si sbevazza e si fa la bella vita a scherno di quanti si dannano per poter mettere insieme il pranzo con la cena.
Ma torniamo in tema: la scuola. E’ al corrente il Presidente che da più di dieci anni non si fanno più concorsi nazionali per abilitazione e cattedra impedendo così alla scuola di Stato di rinnovarsi e aggiornare il suo corpo insegnante attualmente mal pagato e messo in condizione di non potere dedicarsi all’approfondimento della propria cultura a danno di studenti che, scontenti di ataviche arretratezze didattiche, finiscono per trovare sollievo (!?) trascorrendo metà della loro giornata davanti ai paradisi artificiali o al nulla dei loro computer?
Quando poi il Presidente esalta le scuole private nei confronti delle scuole di Stato (accusate, come si usava negli anni 40 dello scorso secolo, di solidarizzare con i cosacchi comunisti che squartavano i bambini in piazza San Pietro), ha mai pensato che nelle scuole di Stato vige la libertà di pensiero e l’insegnamento della religione mentre nelle private il dissenso ideale è spesso considerato una colpa o magari un peccato? Forse, per di più, il Presidente ignora che la cosiddetta scuola privata costituisce spesso una fonte di arricchimento per qualunque altro “mercato”; e probabilmente ignora qual è la differenza fra scuola privata (religiosa) e scuola privata a volte neanche parificata (ormai non troppo scherzosamente sbeffeggiata come “diplomificio”).
Si è mai posto, il Presidente, il problema dei finanziamenti che lo Stato, secondo la Costituzione, non dovrebbe sottrarre alla scuola pubblica per deviarli verso le scuole private già lautamente impinguate dalle alte tasse che esse impongono alle famiglie dei loro alunni privilegiati? La scuola - in particolare quella italiana - ha un’infinità di problemi antichi e attuali che non si possono certo risolvere con alcune frasi demagogiche, oltre che menzognere, come il Presidente ha fatto, se non sbaglio all’hotel Hergife, pur sapendo che lui stesso di quei problemi non ha forse mai sentito parlare.

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