Una intera pagina è stata dedicata da "micropolis" di febbraio al tema dei migranti e della loro difficile integrazione, anche nella rossa, verde e francescana Umbria. Comprende un articolo su un recente libro umbro sull'argomento di Saverio Monno e un dialogo con Nicola Chiarappa che del volume è uno degli autori. La propongo ai frequentatori di questo blog in concomitanza con la giornata di impegno e di lotta impropriamente chiamata "sciopero degli stranieri"(S.L.L.).
Il migrante e il suo vissuto
Saverio Monno
Migrazioni: ieri, oggi, domani. Dai raccoglitori-cacciatori ai transmigranti è il titolo dell’ultimo interessante saggio che Nicola Chiarappa, ha scritto e pubblicato, in collaborazione con Tiziana Marconi e Paolo Montesperelli, per Nuova Prhomos. Il testo, che raccoglie oltre a quello degli autori il contributo di Franco Pittau, coordinatore del Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, e della linguista Yvonne Grimaldi, affronta il fenomeno migratorio, non solo in chiave storica, scientifica, politica e sociale, ma offre al lettore una prospettiva più intima e confidenziale che trae sostegno dalla piacevole antologia di memorie, ricordi e riflessioni tratte dalla vita dello stesso Chiarappa e dalle testimonianze di diversi migranti. Le note autobiografiche assumono un ruolo di primo piano nel corpus centrale del libro. Partendo, infatti, dal presupposto che la conoscenza di sé aiuti a capire meglio gli altri, l’autore, emigrato egli stesso in Germania nel ‘61 per proseguire l’attività di ricerca prima all’Università di Saarbrucken e poi all’Università del Saarland, cerca, scavando nel proprio vissuto come in quello degli altri migranti, di spiegare cosa avviene intorno a noi. Un espediente metodologico che, non solo agevola e semplifica l’approccio alla materia, conferendo al linguaggio ora il piglio rigoroso tipico di una trattazione scientifica, ora l’informale semplicità della narrazione romanzesca, ma che soprattutto permette al lettore di apprezzare come - l’autore stesso sottolinea citando Alexander Lange - “la convivenza plurietnica [possa] essere percepita e vissuta come un arricchimento ed un’opportunità in più, piuttosto che come condanna”.
Accostandoci al versante più analitico del testo, riesce difficile sfuggire ad una qualche considerazione sul vastissimo intervallo di tempo osservato. Facendo riferimento, infatti, ad uno spazio temporale tanto ampio, quanto quello che va dalla comparsa dell’homo erectus (circa un milione di anni fa) ad oggi, Chiarappa smentisce efficacemente, quanti vedono nell’immigrazione un fenomeno “arrestabile”, una “pessima novità”, per riaffermare, all’opposto, la normalità di un fenomeno che caratterizza l’uomo dalla notte dei tempi e che peraltro è destinato ad intensificarsi in futuro. Come scrive Franco Pittau nella sua introduzione al testo, riesce difficile in quest’ottica considerare l’immigrazione una “questione esclusiva di ordine pubblico” ed è necessario piuttosto “aprirsi ad una lettura sociale” di un fenomeno che, invece di sollecitare discussioni di tipo penalistico, dovrebbe fornire un pungolo per confronti sulle sue enormi potenzialità economiche e culturali. Insomma dovrebbe potersi discutere non di sicurezza, “comprensibile - scrive ancora Pittau - ma solo un derivato”, bensì di integrazione. Un “gioco di parole”, quest’ultimo, forse improbabile in un periodo in cui il successo della demagogia leghista è ai massimi storici, ma prendendo in prestito quanto disse Paolo Montesperelli, in occasione della presentazione del libro all’AUR, alcune settimane fa, “se è vero che nella vita di un Paese esistono di fasi di latenza e fasi di mobilitazione, contenuti come questi aiutano a preparare successive fasi di mobilitazione”.
La crisi del modello “multiculturale”
Dalla tolleranza all’accettanza
A confronto con Nicola Chiarappa
S.L.L.
Nicola Chiarappa, geografo di formazione, pugliese di nascita e umbro d’elezione, è stato direttore dell’IRRES. Studia le migrazioni umane fin dalla propria personale esperienza in Germania ed è autore, con Montesperelli e Marconi, di Migrazioni: ieri, oggi, domani, il volume del quale qui a fianco ragiona Saverio Monno, ove si intrecciano ricognizione storica e teorica, memoria personale e ricerca sul campo, nella nostra regione. Sulla immigrazione in Italia non ha dubbi: “Quello italiano è un non-modello: l'approccio al fenomeno immigratorio viene gestito come emergenza, lo straniero equiparato a un pericolo pubblico o a una persona bisognosa, alla quale si viene incontro aprendo centri di prima accoglienza e attivando mense pubbliche. Le stesse emergenze sono peraltro affrontate in maniera vessatoria, e irrazionale. Prendi la questione della regolarizzazione degli immigrati che qui lavorano, che andrebbe affrontata una volta per tutte. Andrebbero quantificate e definite rapidamente per singola regione le domande, tenendo conto degli anni di permanenza, delle attività svolte, delle richieste di ricongiungimento familiare e dei casi di devianza, escludendo quelli legati alla mancanza di permesso di soggiorno. Una iniziativa del genere, se risolutiva, verrebbe ‘digerita’, seppure con qualche mal di pancia”.
Condividiamo. La questione dei permessi coinvolge centinaia di miglia di persone e non può essere lasciata marcire. Ma, per la verità, in Europa sul tema dell’immigrazione appaiono in crisi i modelli consolidati. La “multiculturalità”, già bestia nera di Sarkozy, è oggi bersaglio di altri capi di governo che contano, la tedesca Merckel e il britannico Cameron. Viene osteggiata da “destra”, postulando un ritorno a politiche di assimilazione, a quella che gli studiosi chiamano “endoculturalità” e postula il primato degli indigeni a cui i nuovi venuti dovrebbero adeguarsi.
Chiarappa spiega: “L’ideologia progressista dell’Occidente illuminato prescriveva la tollerante convivenza di diverse culture, ma tale visione, nella attuale fase di globalizzazione, non fa altro che creare polarità”. A questo tipo di multiculturalità riconosce meriti e limiti: “Ha incoraggiato il rispetto delle differenze e il riconoscimento di diritti, ma ha favorito anche processi segregativi e ghettizzanti, separazione, indifferenza”.
Da questi processi non è esclusa l’Umbria, che, nonostante la buona legge 18 del 1990, si è rivelata “più tollerante che accogliente, marcata da un diffuso buonismo e assistenzialismo che ingenera un multiculturalismo statico quasi timoroso delle diversità”. “Le identità – aggiunge – non si contaminano; si accettano reciprocamente e si tollerano, ma possono essere potenzialmente in attrito”.
Per il futuro andrebbero approfondite e aggiornate le considerazioni emerse dalle indagine dell’Irres già alla fine degli anni 90 e confermate dagli studi più recenti: “Bisogna programmare per e con gli immigrati, puntando al superamento della cultura reificata, ad una convivenza di scambio e di osmosi”. Chiarappa avverte peraltro una difficoltà, insita nella natura delle religioni presenti in Umbria, monoteiste, "rivelate", perciò supposte depositarie di verità indiscutibili. La tesi è, comunque, che dalla multiculturalità si esce positivamente solo in avanti, respingendo sogni o illusioni regressive, affermando processi di integrazione e di osmosi, quelli che vanno sotto il nome di “interculturalità” e aspirano a realizzare progressivamente una sorta di transculturalità in cui l’intera specie si riconosca. Bisognerebbe perciò, oltre a fare buone leggi, lavorare nel profondo, per esempio nelle scuole, e guardare lontano, passando dalla tolleranza all’“accettanza”, che è apertura di dialogo.
“Per una buona politica – dice Chiarappa - in Europa e in Italia come in Umbria, si dovrebbe partire dai dati di realtà: le migrazioni non verranno arrestate, il flusso degli eco-migranti o eco-profughi aumenterà pesantemente. Alloctoni e autoctoni devono accettare come presupposto il primato della persona rispetto alla comunità di provenienza e alla cultura ereditata. Sarà la persona che potrà praticare liberamente la sua identità culturale ereditata, o acquisire altre visioni o nessuna. Purché concordi con la dichiarazione dei diritti universali dell'uomo del 1948 ognuno deve avere diritto ad una sua identità culturale da esplicare e praticare nella vita quotidiana. Perché ciò avvenga sempre più occorrerà istituire spazi sociali e politici in cui possono trovare luogo espressioni miste, curando l'osmosi, lo scambio, la reciproca influenza, proprio per evitare la ‘balcanizzazione’ culturale di una società liquida (Z. Baumann) che si caratterizza per una professionalità ondivaga, per diritti incerti, per mercati senza regole, per contropoteri inesistenti”.
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